Nuovo blog

Presto il blog si trasferirà all'indirizzo disabilitasenzabarriere.it. Puoi già visitare il sito e inviarci la tua e-mail. La useremo soltanto per informarti quando il blog sarà attivo.
Un saluto!
Ilaria

venerdì 21 dicembre 2012

http://www.disabilitasenzabarriere.it è online il nuovo blog !!!

Dopo tante fatiche è finalmente online , sotto nuove vesti, il mio blog !!!
Vi chiedo quindi di "passare" a questo link, poichè il blog attuale verrà abbandonato!! 
Ecco il link dove potrete trovarmi e trovare news  e curiosità sul mondo della disabilità:


                                                         Vi aspetto!!!

                                                                               Ilaria

«Noi, l'Italia»: il paese visto dai disabili di Sant'Egidio

Genova - C'è chi ha voluto rappresentare il G8 di Genova, chi ha voluto disegnare la Costituzione, chi il mare e le imbarcazioni, ma in ogni caso è un'Italia lontana dai luoghi comuni e dagli stereotipi quella rappresentata dai disabili mentali riuniti nel movimento "Gli amici" della Comunità di Sant'Egidio. Opere che formano una mostra davvero originale, dal titolo «Noi, l'Italia» ospitata a Palazzo Ducale dopo essere stata al Quirinale, a Roma.
L'esposizione propone pitture, installazioni video e testi realizzati durante i laboratori d'arte in cui gli artisti hanno utilizzato ogni tecnica possibile - acquerello, tempera, matita, collage - per esprimere sé stessi ma anche per rappresentare con passione e profondità la loro personale visione del paese, partendo dalla storia ma solo per guardare al futuro.

fonte:http://www.ilsecoloxix.it/

Disabile nel park costretto a togliere la gamba artificiale per risalire in auto

Una storia natalizia, per i tempi in cui è avvenuta. Non nel senso edificante del termine, anzi. Protagonista, assolutamente involontario, Loris Figoli, spezzino, disabile, ma non per questo rassegnato a rinunciare alle necessità più «normali» e obbligate della vita: come recarsi in macchina a un centro commerciale, ad esempio, fare spese, due commissioni e via, e ritornare a casa. Anche, soprattutto, a Natale, che diamine! Come fanno tutti. Come dovrebbero poter fare tutti, disabili e abili, purché questi ultimi siano i primi a capire le esigenze dei secondi. Non capita così, a Figoli, al Centro commerciale Coop «Le Terrazze», uno dei più vasti d'Europa, perfettamente attrezzato su più piani anche per i parcheggi, e naturalmente anche per gli spazi riservati ai portatori di handicap. Figoli posteggia regolarmente entro le linee gialle, lascia il contrassegno sul cruscotto, si trattiene un'oretta nel centro, ma al ritorno trova la propria MiTo affiancata - e irrimediabilmente bloccata - da un altro veicolo. Un veicolo di una persona «normale», che nonostante gli altri ampi spazi a disposizione, s'è innamorato di quello, proprio quello, ma in modo tale da impedire a chi ha oggettive difficoltà di deambulazione (un arto artificiale, alcune serie patologie polmonari), di incastrarsi in uno spazio tanto angusto per risalire in vettura. (...) 

Fonte:http://www.ilgiornale.it/

Arte senza handicap La sfida vinta di Paolo


«Questi bambini nascono due volte. Devono imparare a muoversi in un mondo che la prima nascita ha reso più difficile…». È il messaggio forte sui bambini nati con handicap che Giuseppe Pontiggia ci ha lasciato nel suo romanzo Nati due volte. Il protagonista di quel libro, molto biografico, si chiama Paolo, disabile dalla nascita. E quelle frasi di Pontiggia ci accompagnano mentre andiamo ad incontrare un altro Paolo, nato con la sindrome di Down. Con Jacopo, suo fratello maggiore, Paolo Guerriero aspetta all’ingresso della libreria Rizzoli in Galleria Vittorio Emanuele, perché è lì, nella sala Enzo Biagi (quella che era la «seconda casa» del giornalista) che espone – fino alla fine di gennaio 2013 – le sue opere d’arte.

Si intitola Cinque velocissime zampe la mostra di questo ragazzo: 28 anni, occhialini rotondi calati sul musetto dolce di un cucciolo d’uomo che ci guida nel suo meraviglioso universo creativo. Una decina di opere d’artista puro, che meritano attenzione. Lo testimonia il fatto che hanno affascinato critici severi come Roberto Mutti e il grande storico del Rinascimento, l’americano Timothy Verdon. I suoi «legni quasi vivi», hanno entusiasmato anche il ministro della Cooperazione Andrea Riccardi, che nel piccolo catalogo di presentazione alla mostra scrive: «Paolo Guerriero, con squisita sensibilità, ci insegna la bellezza dei colori che si uniscono, la bellezza di coloro che si fanno vicini, la bellezza di un essere insieme en plen air tutti dallo stesso vivido sole».

Giallo come il sole è il volto del suo Pinocchio che ha raffigurato con le orecchie grandi e naso piccolo. «A me piace dire bugie… – dice ridacchiando di gusto –. Ho letto tutto Pinocchio e anche il Libro della Jungla», fa con aria furbetta, mentre accarezza le tavole dove nuotano leggere le sue balene colorate. «Ha imparato a lavorare il legno nel laboratorio di Dario Brivio, a Macherio. Dario è una delle tante persone straordinarie con le quali Paolo è venuto a contatto in questi anni e che sono state fondamentali per il suo inserimento nel sociale. Ma anche per il miglioramento della vita della nostra famiglia, perché chi ha dei ragazzi come mio fratello sa che le difficoltà non mancano mai», spiega Jacopo che con il papà Elio, la mamma Mariella, sua sorella Benedetta e Simona (la moglie di Jacopo), hanno riempito d’amore e di attenzioni la prima e la seconda vita di questo ragazzo che mostra felice e soddisfatto le sue creature appese alle pareti.

«Ti piace? Questa è la Scimmia. Questa è una Zebra, non un gatto», rivendica convinto il “maestro” Guerriero. «Lo faccio io, con sgorbia e mazzola… Con la smerigliatrice liscio il legno assieme a Dario e a Crema, il suo cane che si rotola nella polvere che facciamo io e lui con la quercia, il faggio e l’ulivo». Muove veloci i due occhioni neri, scuri e profondi come il Lucignolo che guarda gli altri suoi animali a cinque zampe: Cane, Giaguaro e Cavallo. «Perché li faccio a cinque zampe? Ma perché così vanno più veloci no?». Tanti interrogativi teneri e a volte incerti, come il passo sui marciapiedi infidi del centro di Milano. Ma al ristorante Paolo mette sul piatto, oltre a una pizza filante di mozzarella, anche le tante sicurezze acquisite dal suo quotidiano intenso, pieno di interessi e di impegni programmati. Perché oltre a una famiglia straordinariamente unita, a supportarlo, c’è l’arte, ma anche la musica. Passione, questa, coltivata assieme all’amicizia con il violinista Michele Gazich, alle lezioni di batteria di Max Varotto e a quelle di canto con Alessio Corini. «Paolo canta, suona la batteria e i testi delle canzoni, come Quattro sporchi soldi, li scrive lui», dice con orgoglio e con un sorriso caldo come il caffè suo fratello.

Paolo che conosce tutte le canzoni di Bruce Springsteen, ha visto anche l’ultimo concerto a San Siro: «Tanta gente quella sera allo stadio, accendini... Io, Jacopo e Benedetta in coro a cantare Bruce». Paolo che ha messo su anche una band con Alessio. «Ci chiamiamo “Gli amici di Bius”, facciamo rock sepolcrale…». Jacopo lo guarda storto e stupito, ma Paolo lo rassicura: «Una mia canzone parla di cowboy che si ubriacano... Ma con l’acqua». Risate a catinelle come la pioggia che fuori bagna Milano.
«Paolo è una sorpresa continua. Durante le vacanze da sempre andiamo in Toscana, a Bolgheri, dove si diverte a raccogliere le olive che finiscono nelle bottiglie con l’etichetta l’Olio di Paolino. Lì in paese ormai lo conoscono tutti. La Tina del Bar Vesuvio ha cominciato ad appendere i suoi quadri ed è diventato persino grancassa della banda musicale di Castagneto Carducci». Tra qualche giorno Paolo andrà a fare Natale con la sua famiglia nella casa in Toscana, dove gli piace raccogliere la legna, accendere il camino e sdraiarsi come un micio davanti al presepio illuminato. «Mi piace guardare il fuoco. Mi piace tanto anche Bud Spencer, perché mena i cattivi e vorrei stringergli la mano un giorno per ringraziarlo di questo… Io poi alla sera scrivo un diario, lo faccio da quando sono piccolo. Ci scrivo tutte le cose che mi capitano… Non è segreto, no – sorride –. Un giorno lo faccio leggere anche a Jacopo». E un giorno aprendo quel diario sicuramente troveremo realizzata quella dedica amorevole di Nati due volte: «Ai disabili che lottano non per diventare normali, ma se stessi».



fonte:http://www.avvenire.it/

L’ombra della camorra sui servizi sociali del comune di Napoli?

Dal 2005 ad oggi, nell'ambito del servizio di assistentato materiale ai bambini disabili delle scuole di Napoli, ben due volte, cooperative affidatarie vincitrici delle gare, sono state colpite dai provvedimenti interdittivi antimafia della Prefettura, un'altra è invece fallita ed esclusa dalle gare del comune per irregolarità contributive. 
Circa 300 bambini disabili delle scuole dell'infanzia e degli istituti superiori di Napoli, dall'inizio dell'anno scolastico costretti a casa per l'assenza del servizio di assistenza materiale, finalmente potranno tornare nelle aule, dopo la gara d’appalto indetta ad ottobre, e vinta dall’ATI composta da Nuova Sair Onlus e Confini. Il 22 ottobre, dopo la comunicazione ufficiale dei vincitori della gara, in seguito ad una denuncia riportata su blog ed organi della stampa locale, il comune è stato costretto a chiedere all’Agenzia delle Entrate, alla Prefettura ed alla Polizia Municipale di verificare l’effettiva sede legale del consorzio Confini, e (come denunciato e riportato sulla stampa da alcuni operatori socio assistenziali) se dietro gli aggiudicatari dell’appalto si nascondessero soggetti che hanno ricoperto in passato ruoli all’interno di cooperative poi finite in tribunale per il mancato pagamento di salari e trattamenti di fine rapporto.
Tutto risultato in regola dopo i controlli. Attualmente sono in corso le procedure per il "passaggio di cantiere", con l’assunzione dei 104 operatori ed operatrici OSA precedentemente impegnati sul servizio di assistenza ai disabili, così come previsto dal Piano di Zona del Comune di Napoli, ed ai sensi dell’art. 37 del CCNL socio educativo assistenziale e di inserimento lavorativo. I problemi giudiziari sembrano invece riguardare proprio i denuncianti, così come emerso sulla stampa, il 27 novembre, in seguito alla chiusura delle indagini su un’altra vicenda riguardante una truffa ai danni dei dipendenti di una società di vigilanza. Ai lavoratori ed alle lavoratrici OSA in corso di assunzione verrà richiesto, comunque, anche il casellario giudiziale.
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I bambini disabili, oggetto della gara, fanno parte di una quota, circa 1/3 del totale, di uno dei più turbolenti settori delle politiche sociali del comune di Napoli. Dal 2009 al mese di giugno del 2012, l'affidamento del servizio è avvenuto sempre per proroghe ai consorzi gestori, cooperative ed associazioni iscritte al RECO (Area disabili per l’affidamento delle prestazioni assistenziali), attraverso la modalità della selezione aperta, e per una durata di 6 mesi, per importi fino ad un massimo di 1 milione e 300mila euro, dopo le uniche due gare indette fino ad oggi: la prima nel 2005, vinta dal consorzio Gesco, da Punto H (colpita poi da interdittiva antimafia) e dalla cooperativa Magnifica 1; l'altra, nel 2007, vinta da Gesco, dal consorzio Icaro e Magnifica 1 (poi fallita ed esclusa per irregolarità contributive). Lo scorso giugno, in seguito ad una informativa antimafia emessa dal prefetto di Napoli (in data 12/6/2012, nota prot. 0206529 del 9/3/2012 del "Servizio gare d'Appalto - Area Forniture e Servizi"), al consorzio Icaro è stato revocato il contratto in quanto risultava affidatario di beni confiscati alla Camorra, a Pignataro Maggiore (CE), distinguendosi “per inerzia, permettendo così al clan Lubrano-Ligato di continuare a ricavare dagli stessi beni delle rendite”.
La revoca del contratto è avvenuta ai sensi dell'art. 2, comma 2 del protocollo di legalità in materia di appalti stipulato dal Comune partenopeo con la prefettura di Napoli il 1° agosto 2007, sottoposto obbligatoriamente a tutti gli enti che stipulano contratti con l'ente comunale per importi superiori a 250 mila euro, e per gli enti subappaltanti per importi superiori a 100 mila euro per le opere pubbliche, oppure di 50 mila euro per forniture e servizi.
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Dopo quest'ultimo episodio, il consiglio comunale di Napoli, a giugno, aveva votato per affidare il servizio alla partecipata del Comune, la Napoli Sociale S.p.A., che da diversi anni provvede già, con costi mediamente inferiori, all'assistenza di altri 500 disabili nelle scuole della città. La giunta ha poi preferito bandire due gare. Una andata deserta a settembre, per soli due mesi di copertura del servizio, ed un'altra ad ottobre, per un importo di 4.637.472 euro, a copertura dell'assistenza fino a dicembre 2014.
Non sono finiti intanto i guai per il consorzio Icaro, e per Gabriele Capitelli, ex presidente del Consiglio d’Amministrazione fino al 31 marzo del 2011, la cui gestione è oggetto di diversi accertamenti giudiziari, alle prese anche con le cause di lavoro dei suoi ex dipendenti, alcuni dei quali hanno presentato delle denunce alla Guardia di Finanza ed alla Direzione Provinciale del Lavoro, per presunte irregolarità riscontate sui CUD e per avere notizia sulla effettiva consegna dei DURC all’INPS, a partire dall’anno 2006. Nel mese di marzo, prima della revoca del servizio a Napoli, in un irrituale tentativo di conciliazione tenutosi negli uffici dell’assessorato alle Politiche Sociali, in presenza dell’assessore D’Angelo, ad un gruppo di ex lavoratrici è stato chiesto di chiudere la vertenza accettando il 30% in meno delle spettanze.
Il caso è invece finito, con tanto di foto dell'incontro, sui tavoli del sindaco e del prefetto di Napoli, con la richiesta delle lavoratrici di verificare a che titolo fosse presente Gabriele Capitelli, dimessosi dalle cariche un anno prima. Da chiarire anche i debiti del consorzio Icaro nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni, tra questi quelli dell'ATI di cui faceva parte per la gestione delle soste a pagamento nel comune di Aversa, per 1 milione e 240 mila euro di Tosap (Tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche), e per 340 mila euro di Tarsu del periodo 2005-2010, a carico di Icaro, mai pagati.
Debiti evidentemente non ritenuti dichiarabili all'atto della stipula del "Programma 100" del Comune di Napoli, il protocollo di legalità obbligatorio per gli enti fornitori di servizi nel quale si dovrebbe certificare di essere in regola con il pagamento dei tributi locali, oltre che sull'osservanza rigorosa delle disposizioni in materia di collocamento, igiene e sicurezza sul lavoro.

fonte:http://www.agoravox.it/

giovedì 20 dicembre 2012

Le persone con autismo non vogliono il male degli altri

Donna bionda che intima lo stop con la mano destraDi fronte alla presentazione quanto meno “grossolana” del giovane che ha compiuto negli Stati Uniti la terribile strage di Newtown, con titoli come “Il killer dei bambini era autistico”, l’Associazione ANGSA chiede con forza «di fare maggiore attenzione alla realtà dei fatti e al parere degli esperti, per evitare lo stigma a carico di persone come quelle con autismo, già gravate da enormi problemi relazionali»
«Che si tratti di follia è fuori dubbio, ma non si può etichettare come “autistico” questo giovane, dato che l’ufficiale di polizia competente per il caso “ha ritenuto che non fosse chiaro quale tipo di disturbo psichico avesse Adam”».
Questo il puntuale commento di Liana Baroni, presidente nazionale dell’ANGSA (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici), dopo la terribile strage di Newtown nel Connecticut (Stati Uniti), che ha visto il giovane Adam Lanza assassinare in una scuola quasi trenta persone, la maggior parte dei quali bambini, senza apparente motivo. Una puntualizzazione resa quanto mai necessaria, secondo l’ANGSA, soprattutto dopo la “grossolana” presentazione di Lanza, da parte di troppi organi d’informazione, che hanno definito il giovane di volta in volta affetto da «autismo», da «sindrome di Asperger», da «grave» e poi «gravissima sindrome autistica». Un titolo tra i tanti, ma non certo l’unico del genere: Il killer dei bambini era autistico.
«È vero – sottolinea a tal proposito Liana Baroni – che negli Stati Uniti si è molto allargata la tipologia della disabilità mentale definita autistica, estendendola anche a casi che in Italia non sarebbero mai stati classificati in questo modo, ma pure non si può riconoscere in questa fattispecie nemmeno le forme meno gravi di autismo. Questo giovane, infatti, guidava la macchina, aveva fatto il liceo in classi normali, ottenendo pure alti voti e apparteneva a un club di alta tecnologia informatica col quale organizzava party».
«I compagni – prosegue la presidente dell’ANGSA – avevano notato le sue stranezze, timido, taciturno e con accessi di rabbia che, secondo una teste, curava con psicofarmaci. Non risulta che fosse stato sottoposto a nessuno di quei programmi per autistici che vengono normalmente attuati negli Stai Uniti. Stupisce, per altro, che la madre avesse portato Adam a fare battute di caccia, insegnandogli a sparare, e che non avesse tenuto sotto chiave tutte le armi che collezionava, fra le quali armi a ripetizione. Questa grave imprudenza è costata la sua vita e quella di tanti altri innocenti».
«Teniamo a precisare – conclude Baroni – che le persone definite con autismo in Italia sono completamente diverse da Adam e non sarebbero in grado, neppure volendo, di attuare una simile strage. Chiediamo quindi alla stampa di fare maggiore attenzione, anche e soprattutto nei titoli, alla realtà dei fatti e al parere degli esperti, per evitare che si diffonda lo stigma a carico di persone come quelle con autismo, che già sono gravate da enormi problemi relazionali. Le persone con autismo, infatti, non vogliono il male degli altri e non sarebbero mai capaci di organizzare un piano di strage così tremendo come quello di Newtown».
fonte: http://www.superando.it/

Attori Down protagonisti al cinema


Il cinema americano è sempre più alla ricerca di attori con sindrome di Down per svolgere ruoli importanti. Un primo bilancio dell’anno che sta per concludersi sembra confermare lo spazio e la crescita delle opportunità date agli attori con disabilità. A parere dei critici cinematografici, e degli stessi artisti, l’aumento della loro visibilità sta facendo una grande differenza, sia a Hollywood sia nel “mondo reale”.
Attori Down protagonisti al cinemaAlmeno due film, in uscita durante queste settimane natalizie, vedono la presenza di attori con sindrome di Down in ruoli cardine. Nella pellicola canadese Café de Flore (in lingua francese), si esplora la relazione tra una madre e il suo giovane figlio Down nella società parigina degli anni Sessanta; mentre in Any Day Now il regista americano Travis Fine s’ispira alla storia realmente accaduta negli anni Settanta di una coppia gay che accoglie un ragazzo Down abbandonato dalla madre tossicodipendente. Anche sul piccolo schermo non manca la presenza di attori con la malattia genetica che si esibiscono in ruoli regolari per serie televisive visibili anche nel nostro Paese come Glee, La vita segreta di una teenager americana e American Horror Story.
Il recente boom di talenti cinematografici Down aiuta senz’altro il grande pubblico a capire meglio la disabilità, e dimostra come Hollywood stia cercando di rappresentare più accuratamente la società “reale”. In questo senso lavora anche l’associazione no-profit Down Syndrome in Arts & Media che opera attivamente in California con studi e agenzie il cui obiettivo è individuare e scritturare attori Down o con altre disabilità dello sviluppo. Molto resta ancora da fare, però, perché gli attori con sindrome di Down non abbiano solo ruoli redatti per loro, ma possano accedere anche a parti scritte per qualsiasi uomo o donna. L’intrattenimento, secondo l’agenzia di talenti Down, dovrebbe riflettere la vita di tutti, non solo quella delle persone “perfette”.
Vedere all’opera questi interpreti per troppo tempo “invisibili” ha un impatto senza precedenti non solo sui colleghi che lavorano con loro, come sottolineano numerose interviste, ma anche sul modo in cui il pubblico generale comprende i problemi delle persone con disabilità in ogni parte della loro vita fuori dallo schermo. Per troppo tempo le esistenze e le esperienze rappresentate nelle attività d’intrattenimento sono state un riflesso insufficiente del mondo reale in cui viviamo. Oggi produttori e pubblico chiedono rappresentazioni più vere che includano le persone con disabilità, senza paura delle differenze.

fonte:http://www.west-info.eu/it/

mercoledì 19 dicembre 2012

Una "Dama" per accogliere i pazienti con disabilità

L’acronimo è inglese, ma il progetto è tutto italiano. Il Disabled Advanced Medical Assistance è un modello di accoglienza e di assistenza dedicato alle persone con gravi disabilità intellettive, comunicative e neuromotorie.
Dagli inizi di dicembre questo modello ha trovato applicazione a Varese, grazie alla collaborazione tra Azienda ospedaliera, ASL, ANffAS e fondazione Il Circolo della Bontà. La sede è all’Ospedale di Circolo, in un locale appositamente ristrutturato e allestito proprio accanto alla Hall di ingresso e al Pronto Soccorso. L’équipe dedicata è composta dal responsabile medico, infermieri e volontari opportunamente formati per venire incontro alle esigenze dei pazienti e organizzare l’assistenza medica e diagnostica di cui necessitano.
L’iniziativa dell’Azienda ospedaliera varesina e dell’ASL hanno incontrato subito la collaborazione di ANffAS, che, oltre ad aver promosso il progetto, ha arruolato i volontari, e de Il Circolo della Bontà, che si è fatto carico di parte delle spese per dare l’avvio.
Il servizio, di grande rilievo sociale oltre che sanitario, sarà presentato nei dettagli in occasione del convegno organizzato nell’Aula Leonardo dell’Ospedale di Circolo per il prossimo 13 dicembre.
L’inaugurazione ufficiale si terrà invece domenica 16 dicembre, alle ore 16.00, nella Hall dell’Ospedale di Circolo. Per l’occasione interverrà l’Assessore regionale alla Sanità Mario Melazzini.

Come si accede al servizio? Basta chiamare il nr verde 800 520 051 dal lunedì al venerdì dalle ore 9.00 alle ore 12.00 per parlare direttamente con un operatore qualificato. Negli altri giorni e orari sarà attiva una segreteria telefonica: lasciando nominativo, recapito telefonico e motivo della chiamata si verrà ricontattati quanto prima.
Durante il colloquio telefonico verranno poste alcune semplici ma indispensabili domande per conoscere la situazione generale e programmare gli interventi successivi. Se il problema appare di particolare rilevanza si può accedere direttamente al Pronto Soccorso. Affinché il servizio dedicato alle urgenze ed emergenze possa funzionare al meglio è però importante usarlo bene: se appena possibile, chiamando il numero verde verrà valutata la gravità della situazione e l’opportunità di ricorrere al Pronto Soccorso.

fonte: http://www3.varesenews.it/

Il bisogno di non essere soli

Katia è la madre di Maddalena, bambina di 7 anni affetta da SMA 1 (atrofia muscolare spinale). Per rafforzare la voce di tutti i malati con grave e gravissima disabilità e dei loro familiari che in questi mesi si sono esposti, arrivando anche allo sciopero della fame, per spingere lo Stato a occuparsi di loro in modo adeguato, racconta la sua situazione e spiega di cosa ci sarebbe urgente bisogno

Katia Delmoro, con la figlia Maddalena«È ora di finirla. Lo Stato non può continuare a ignorare la situazione delle persone con disabilità gravissima». A dirlo è Katia Delmoro, 37 anni, madre di un adolescente e di una bambina di 7 anni affetta da SMA di tipo 1 (atrofia muscolare spinale di tipo 1, la forma più grave). «Sono 7 anni che non dormo una notte di fila, lavoro tutte le mattine e i pomeriggi sono dedicati a mia figlia. Siamo talmente stanchi che non trovo le parole per comunicare la nostra condizione. E devo ritenermi fortunata, perché sono rientrata in alcuni progetti che mi garantiscono un’assistenza parziale».
La signora Delmoro ci ha contattato dopo avere letto la storia di Francesca Giordani che abbiamo pubblicato nel nostro sito all’interno del dibattito stimolato dal Comitato 16 Novembre (Associazione Malati SLA e Malattie Altamente Invalidanti) e dalle proteste arrivate fino allo sciopero della fame indette da un gruppo di malati di SLA (sclerosi laterale amiotrofica) che chiedono che il fondo per la tutela dei non autosufficienti sia più cospicuo. Ci ha chiesto di contribuire offrendoci la sua testimonianza, per rafforzare la voce delle persone non autosufficienti e dei loro familiari.
Che cosa vorrebbe dallo Stato?
«Più assistenza. Vorrei essere meno sola. In primavera e autunno, quando mia figlia Maddalena può uscire di casa, se ci fosse qualcuno con me mi sentirei più sicura. Maddalena è ventilata da quando aveva tre mesi. Uscire con lei significa portare fuori la macchina per la ventilazione e quella per l’aspirazione e tutta l’attrezzatura necessaria oltre alla carrozzina. Si può fare, ma è laborioso e spesso mi passa la voglia… a spingermi fuori è solo il fatto che a restare sempre a casa a un certo punto impazzisco. Inoltre anche per lei trascorrere del tempo all’aperto o incontrare le persone, socializzare, è bello, e vorrei offrirle più occasioni del genere. Se ci fosse un assistente con me, sarei meno ansiosa e sarebbero più gestibili i momenti fuori casi. Quanto all’inverno, periodo in cui Maddalena non può uscire per via del freddo, se ci fosse un’assistenza più strutturata, potrei uscire io, occuparmi del mio altro figlio, che ora invece è seguito principalmente dai nonni».
Come vi siete organizzati con lui?
«Nel primo anno e mezzo dopo la nascita di Maddalena siamo stati quasi sempre in ospedale e quindi lui ha dovuto affrontare il fatto di non avere più, improvvisamente, i suoi genitori con sé. Aveva quattro anni e mezzo. Ora è un ragazzino sereno, fa sport ed è seguito dai nonni. Però la differenza con gli altri bambini la percepisce: a guardare le sue partite, ad esempio, ci vanno i nonni. Io ci riesco solo qualche volta».
Eppure ci diceva che la sua situazione è più fortunata di molte altre, quanto ad assistenza.
«È vero. Rientro in un progetto di ospedalizzazione a domicilio offerto dall’ASL e in uno di scuola a domicilio offerto dal Comune».
Parliamo del primo.
«Sei ore al giorno per sei giorni a settimana, al mattino e fino alle 14, vengono a casa nostra degli infermieri. Durante quelle ore vado a lavorare, ho una lavanderia. Mi alzo alle 6, mi preparo, preparo Maddalena, poi alle 8 arrivano gli infermieri e io esco. Le fanno il bagno, la medicano, le fanno la fisioterapia e la mettono in carrozzina».
Il progetto di scuola a domicilio invece?
«C’è un’insegnante che viene a casa nostra un’ora ogni mattina. Insieme, quando è possibile, si collegano alla classe con la webcam. Maddalena è contenta, le piace vedere gli altri bambini. In più al pomeriggio – non tutti i pomeriggi, però – viene un’educatrice che gioca con lei e le propone delle attività ludico-educative».
Maddalena va mai a scuola?
«Sì, quando riusciamo la portiamo a scuola, in primavera e autunno. Gli altri bambini sono bravissimi con lei e lei ama stare con loro. Giocano insieme, conoscono il suo linguaggio senza parole. Si fa capire con gli occhi, riesce a indicare quale tra una serie di disegni preferisce e in questo modo compie delle scelte.
Diceva che sono 7 anni che non dorme una notte di fila?
«La notte è sempre movimentata. Maddalena ha bisogno di venire girata, aspirata, oppure bisogna staccare la nutrizione. Succedono molte cose, è un continuo via vai».
Sostiene dei costi considerevoli?
«Non economici. I due progetti sono gratuiti. Certo, ho una bolletta dell’energia elettrica molto alta per via di tutti gli apparecchi che devono restare attaccati. E poi ci sono alcuni ausili che non sono coperti. Ad esempio abbiamo dovuto spendere 35.000 euro per un furgoncino con pedana che permetta di caricare la carrozzina elettrica. Ma i veri costi sono psicofisici. Siamo stremati. Ci sono giorni in cui mi devo veramente concentrare sulla guida per non fare incidenti, faccio difficoltà a parlare, non trovo mai le parole o faccio difficoltà a comporre le frasi, mi dimentico tutto e faccio spesso confusione con gli appuntamenti, anche se annotati».
La vita di Maddalena a casa è la soluzione migliore?
«Sì, senza dubbio. Per lei essere circondata dai suoi cari è vitale. Quello che le offre la famiglia nessun altro potrebbe farlo. E tutto questo, tra l’altro, significa un risparmio per lo Stato. Solo che lo Stato se ne approfitta. È questo quello che sto cercando di dire: dove c’è un disabile grave o gravissimo che necessita di assistenza per 24 ore su 24, c’è una famiglia disabile grave o gravissima che necessita di assistenza 24 ore su 24.
La famiglia va supportata con un’assistenza diretta o indiretta, la formula non è importante, perché nessuno può lavorare ininterrottamente 24 ore su 24 al giorno per 365 giorni all’anno. Questi ritmi non possono essere sostenuti nel medio-lungo termine senza compromettere la salute fisica e mentale dei cosidetti “caregivers”. L’articolo 4 della Costituzione recita: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto”. Solo che questo diritto non viene riconosciuto ai caregiver, in quanto la mancanza di assistenza da parte dello Stato spesso costringe gli stessi a rinunciare al lavoro, e questo vale soprattutto per le donne».
Lei abita in provincia di Ancona. Ritiene che in altre zone d’Italia le cose funzionino meglio?
«Questa è senz’altro una delle questioni più spinose. Ripeto, io sono fortunata ad essere rientrata in questi due progetti. Però il fatto che ogni Regione si autoregolamenti crea delle disparità ingiuste. Un malato che sta in Sicilia ha il diritto di avere lo stesso trattamento di uno che vive a Milano. Non si dovrebbero permettere differenze in questioni così primarie».

fonte:http://www.superando.it/

Ipovisione al Gemelli di Roma. Apre un Centro per bambini con deficit plurisensoriali

E’ stato inaugurato al Policlinico Gemelli, il “Centro Multidiscipinalre di Diagnostica e Riabilitazione Visiva”, realizzato anche con il contributo di IAPB Italia Onlus. Un centro che può dare speranza a tutti quei bambini colpiti da più disabilità sensoriali.
Molti di loro nei primi anni di vita e in alcuni casi già fin dalla nascita, sviluppano seri problemi di ipovisione, spesso associata anche a disturbi  di tipo neurologico. Agire tempestivamente fin dai primi giorni di vita, con diagnosi e cure mirate, certamente può contribuire al migliorare la qualità della vita di questi bambini.
Proprio questo è il motivo che il Policlinico Universitario, in collaborazione con l’Agenzia Internazionale per la Prevenzione della Cecità-IAPB Italia Onlus,  ha deciso che fornirà assistenza  non solo ai bambini affetti da queste patologie, ma anche alle loro famiglie: una realtà unica in tutto il Centro Sud. La data scelta per l’inaugurazione corrisponde al giorno in cui si commemora Santa Lucia, protettrice della vista.
Il lavoro di équipe, la disponibilità di strumenti, di spazi idonei daranno, inoltre, la possibilità di eseguire il maggior numero di esami in tempi rapidissimi e permetteranno di avere cure e diagnosi tempestive. Il lavoro del Centro si svolgerà all’interno del Day Hospital di Neuropsichiatria Infantile del Gemelli per quello che concerne la parte diagnostica, con la possibilità di  poter usufruire delle competenze e dei locali del Polo Nazionale di Servizi e Ricerca per la Prevenzione della Cecità e la Riabilitazione Visiva degli Ipovedenti che ha sede presso il Policlinico universitario.“Lo scopo del Centro – ha affermato Eugenio Mercuri, Ordinario di Neuropsichiatria infantile all’Università Cattolica di Roma e Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria infantile del Policlinico A. Gemelli – è fornire un profilo preciso delle difficoltà visive e neurologiche dei bambini dai primi anni di vita, utilizzando queste informazioni per identificare percorsi di riabilitazione.”

fonte:http://news.supermoney.eu/

Quasi un milione di italiani non esce di casa quanto vorrebbe a causa della propria disabilità

sedia a ruote in un corridoioE' quanto emerge dal Rapporto Istat sull'inclusione sociale delle persone con limitazioni dell'autonomia. Si tratta soprattutto di donne e anziani. Un milione e mezzo ha difficoltà di accesso agli edifici per mancanza di supporti o assistenza
ROMA - Una persona su quattro con limitazioni funzionali non esce di casa quanto vorrebbe per motivi di salute. È un problema che riguarda 972 mila persone, soprattutto anziane (27,9 per cento contro il 18,2 per cento sotto i 64 anni) e donne. Oltre la metà riconosce limiti importanti per la mancata assistenza (circa 203 mila persone) o per la carenza di supporti (circa 85 mila). Altre 213 mila persone lamentano la mancanza di entrambi gli aiuti. Tra chi ha gravi limitazioni la percentuale di chi è in difficoltà a uscire di casa sale al 39,1 per cento. Circa 370 mila persone, il 14,1 per cento di quanti riferiscono di avere a disposizione un veicolo, non hanno la possibilità di usarlo quanto vorrebbero per motivi di salute. Anche in questo caso il problema riguarda le donne anziane (17,9 per cento contro il 10,9 per cento degli uomini coetanei). Allo stesso tempo c'è un milione e mezzo di persone con difficoltà di accesso agli edifici e ai servizi, con un picco del 44,1 per cento tra le donne anziane di 65-87 anni. i problemi di accessibilità sono lamentati da oltre la metà delle persone con gravi limitazioni funzionali. Il tipo di area compromessa influisce sulle limitazioni: le difficoltà sensoriali sono meno problematiche.

fonte:http://www.superabile.it/

Oltre l'80 per cento delle persone con limitazioni funzionali non lavora

disabile in casaSolo 300 mila gli occupati, quasi tutti dipendenti e inseriti nel pubblico impiego, con difficoltà a svolgere l'attività lavorativa. Forti differenze di genere
ROMA - Quando si hanno limitazioni funzionali la speranza di un lavoro si allontana. Secondo l'Istat lavora solo il 16 per cento delle persone di 15-74 anni con autonomia limitata (300 mila, contro il 49,9 per cento dei residenti in Italia). Sono alcuni dei dati emersi dal Rapporto Istat sull'inclusione sociale delle persone con limitazioni dell'autonomia personale, diffuso venerdì scorso. Gli inattivi sono l'81,2 per cento, contro il dato nazionale del 45,4 per cento. Tra questi, è elevata la quota dei ritirati dal lavoro (43,1 per cento, contro il 6,7 per cento della popolazione generale). I disoccupati sono circa 54 mila e circa 250 mila persone non hanno mai lavorato. Netta la differenza di genere: tra gli uomini il 27 per cento ha un lavoro, mentre il dato per le donne si ferma al 7,8 per cento. Allo stesso modo, la quota di chi non lavora, non cerca lavoro e non ha mai lavorato tra le donne è molto più elevata (21,5 per cento) che tra gli uomini (2,2 per cento).
Per quanto riguarda gli occupati, la maggior parte sono dipendenti (76,9 per cento), con contratto a tempo indeterminato (85,9 per cento), impiegati nel pubblico (54,7 per cento), con un part time (28,3 per cento). Tra coloro che hanno limitazioni funzionali gravi, quasi la totalità lavora come dipendente (91,2 per cento). Circa un quarto degli occupati (24,4 per cento) ha problemi a svolgere l'attività lavorativa, in particolare per l'orario e il tipo di lavoro, per motivi di salute o per difficoltà funzionali, mentre l'11,7% lamenta la mancanza di flessibilità (orario, telelavoro, possibilità di svolgere lavori meno faticosi). Complessivamente le persone che non lavorano, attualmente non cercano lavoro e non hanno mai lavorato sono 250 mila, quasi tutte donne (93 per cento), in larga parte con gravi limitazioni (64,4 per cento). Circa 69 mila persone non hanno mai cercato lavoro per problemi di salute.

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martedì 18 dicembre 2012

Donna paralizzata muove il braccio robotico con il pensiero come fosse un arto normale

Tetraplegica da 13 anni è in grado di afferrare e muovere oggetti grazie a sensori impiantati bella corteccia cerebrale

Jan Scheuermann muove Per la prima volta una persona tetraplegica, paralizzata dal collo in giù, è riuscita a muovere un braccio robotico controllandolo con il proprio pensiero, grazie ad alcuni sensori impiantati nella corteccia cerebrale. Protagonista dell'esperimento Jan Scheuermann, una donna di 53, e i ricercatori della facoltà di medicina dell'università di Pittsburgh, che hanno pubblicato il loro studio sulla rivista The Lancet. Jan, affetta da degenerazione spinocerebellare da 13 anni, è stata infatti in grado di afferrare, muovere e spostare diversi oggetti proprio come con un braccio normale. E questo grazie a due sensori, ognuno di 4 millimetri quadrati, impiantati nella sua corteccia cerebrale.
COME FUNZIONA - Un centinaio di minuscoli aghi su ogni sensore raccolgono l'attività elettrica di 200 cellule cerebrali. Gli impulsi elettrici nel cervello vengono trasformati in comandi per muovere il braccio, che piega il gomito, il polso e può così afferrare un oggetto. La donna è riuscita a controllare il braccio già al secondo giorno di training e dopo 14 settimane è diventata molto più abile, acquisendo coordinazione e velocità in modo simile ad una persona non malata. «Penso che questa tecnologia possa diventare terapeutica per le persone con lesioni spinali - spiega Andrew Schwartz, uno dei ricercatori - perchè possono svolgere compiti e attività utili nella loro routine».

fonte:http://www.corriere.it/

Armi da fuoco e armi dello stigma


«La violenza che nasce nella mente delle persone – scrive franco Bomprezzi, a proposito della strage compiuta negli Stati Uniti da un giovane definito con troppa superficialità come “autistico” – è un fenomeno complesso, delicato, a volte del tutto inspiegabile, anche dopo anni di indagini e di analisi. Occorre rispetto, per non fare danni collaterali, usando l’arma letale dello stigma»


Non sono in grado di fornire spiegazioni cliniche o psicologiche. Non ne ho le competenze. Sono solo un giornalista. Cerco da sempre di verificare le fonti delle notizie e di valutarne l’attendibilità, e magari di dare una mia interpretazione ragionevole.
Parenti delle vittime della strage del 14 dicembre 2012 a Newtown, Stati UnitiQuello che sta succedendo in queste giorni mi inquieta parecchio. Un non meglio precisato parente di Adam Lanza, il ventenne autore della strage nella scuola di Newtown (Connecticut, USA), avrebbe confidato a un anonimo agente di polizia che il ragazzo soffriva di una non meglio specificata “forma di autismo”. Lo riferisce, in questi termini, ad esempio, lo staff del network CNN. Nel giro di poche ore questa forma di “autismo” è diventata, in molti notiziari televisivi e anche in alcuni articoli di stampa, una “grave” e poi “gravissima sindrome autistica”.
Non mi risulta che esistano, al momento, dichiarazioni ufficiali, né documenti pubblici, di carattere sanitario o scolastico, che confermino, in tutto o in parte, questa voce rimbalzata, come tante altre notizie frammentarie e concitate, dopo una strage senza precedenti. Il lavoro dei giornalisti, si sa, è ingrato. In poche ore occorre fornire risposte anche quando mancano aggiornamenti effettivi, e anche quando le fonti si contraddicono o si sovrappongono.
Ma la mia preoccupazione è questa. Sappiamo bene quante difficoltà incontrino ogni giorno i familiari di persone con sindrome autistica, alle prese con incertezza di diagnosi, con diffidenza dei contesti nei quali le persone, spesso fragili e chiuse in se stesse, vanno a inserirsi, a partire dalla scuola. È sempre facile scambiare sintomi di disagio, di paura, di autopunizione, per aggressività pericolosa per sé e per gli altri. Il carico emotivo è sempre alto, difficile da reggere in situazioni normali. Ma non mi risulta – lo dico da cronista con trent’anni di lavoro alle spalle – che ci sia mai stato un collegamento diretto fra la sindrome autistica ed episodi di violenza sistematica e preordinata come la strage del Connecticut. E in ogni caso dubito che in Italia un ragazzo autistico abbia la possibilità di utilizzare in casa un arsenale di armi degno di un serial killer. Belle, in questo senso, le riflessioni di Gianluca Nicoletti nel suo blog Obliqua-mente.
Bisognerebbe dunque stare molto attenti a usare le parole e le definizioni, a stigmatizzare e delimitare il comportamento di una persona che improvvisamente decide di compiere un gesto mostruoso, apparentemente senza segnali evidenti che ne facciano presagire l’efferatezza. Anche perché ho la sensazione che comprensibilmente l’opinione pubblica americana stia cercando una via di fuga plausibile rispetto all’argomento principale e determinante, ossia la perniciosa e intangibile libertà di detenere e usare armi in quantità impressionante.
La presa di posizione del coordinamento delle associazioni americane a tutela delle persone autistiche mette subito in guardia rispetto a questo pericolo incombente. Ma non vorrei che anche queste precisazioni venissero lette con la lente deformante del pregiudizio. Come dire: sì, lo dicono “loro” che questa vicenda c’entra poco con l’autismo. Ecco, forse dovremmo dirlo tutti noi.
La violenza che nasce nella mente delle persone è un fenomeno complesso, delicato, a volte del tutto inspiegabile, anche dopo anni di indagini e di analisi. Occorre rispetto, per non fare danni collaterali, usando l’arma letale dello stigma.

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Il bisogno di non essere soli

"Capacitats Sumant", -le capacità si sommano- suona latino ed altisonante invece é il motto in catalano di di Anna Vives, una ragazza con la sindrome di Down che a soli 27 anni ha creato un progetto con grandi aspirazioni: fare la differenza per sé stessa e per gli altri.
"Capacitats Sumant", -le capacità si sommano- suona latino ed altisonante invece é il motto in catalano di di Anna Vives, una ragazza con la sindrome di Down che a soli 27 anni ha creato un progetto con grandi aspirazioni: fare la differenza per sé stessa e per gli altri.
Bambina con Sindrome di Down Figlia d'arte, con un padre che ha  lavorato molti anni come imprenditore sociale nel campo della soia e un fratello che la sostiene ed investe su di lei, Ana é ben lungi dal vivere la sua sindrome come qualcosa di limitativo anzi spera che la sua malattia rievochi  valori come solidarietà sociale uguaglianza e lavoro di squadra. 
Interessante notare il mezzo che Ana sceglie: la grafica. Affascinata dalla lettere e dal modo di disegnarle la giovane ha passato molto tempo ad aggiustare e limare il carattere tipografico che adesso porta in suo nome, l'ANA, e si è detta disponibile a scrivere con qualsiasi word processor.
Ed é proprio per i valori che questa ragazza sponsorizza con tanta forza  che non ha tardato molto a trovare appoggio.  Tinerarium Foundation, l'organizzazione che l'ha aiutata prontamente a lanciare la campagna, ha promosso per lei un sito web dove è possibile acquistare diversi prodotti - dall'abbigliamento alla fodera per l'ipad- creati ad hoc per diffondere il messaggio. E l'incasso? Il  100% delle risorse ottenute verranno utilizzate per finanziare  progetti che abbiano utilità sociale. La prima donazione sarà fatta a Ana  Bella, una stimata Fondazione che si occupa di donne che hanno subito degli abusi.
La messa in moto di questo progetto è stata nel settembre 2011, con Anna  che cercava insieme a un affiatato team di migliorare i caratteri della scrittura a mano e che oggi ha visto nascere un alfabeto digitale soddisfacente e adatto a scrivere su ogni tipo di word processor. 
Se le prospettive di Ana, come quelle dei 6 milioni di ragazzi nel mondo nati con questa sindrome, erano solo lavori dipendenti, oggi sembra esserci la rivincita di chi non ha le stesse capacità degli altri, forse ne ha solo di diverse.
Basti riflettere sul fatto che il progetto ha riscosso enorme successo: con la rete Atlas  si sono raggiunte 1.400 scuole  e lettere di ringraziamento e sostegno sarebbero arrivate da Argentina e Portogallo come riporta il fratello di Ana. 
Ma Ana e suo fratello Marc che la segue e la incoraggia puntano più in alto insieme alla Fondazione Itinerarium, attraverso la rete iEARN che copre 130 paesi e 2 milioni di studenti vogliono diffondere il loro messaggio solidale.
Mettere insieme le capacità delle persone invece di dividerle in un universo competitivo ed individualista é il messaggio che esce forte e chiaro dall'intervista realizzata ai fratelli pochi mesi fa:
"Tu di sicuro sei non capace in alcune cose, io non sono capace in alcune cose, anche mia sorella ha le sue invalidità, però abbiamo capacità positive e sommandole sicuro che qualcosa di buono salta fuori".

fonte:http://www.superabile.it/

La Croazia elimina il divieto di voto per i disabili



La Croazia elimina il divieto di voto per i disabiliIn una storica votazione la scorsa settimana il parlamento croato ha di fatto aggiunto oltre 16mila persone al registro elettorale. Il paese ex-jugoslavo, infatti, ha cancellato la norma che escludeva dalla partecipazione politica le persone poste sotto tutela giuridica. In passato, il governo aveva raccomandato ai giudici di rimuovere, sulla base di audizioni individuali, il divieto di voto per motivi legati alla disabilità. Con questa modifica, contenuta in una più complessiva riforma del sistema elettorale, la Croazia si adegua a quanto previsto dalla Convenzione ONU sui diritti dei disabili. Le organizzazioni della società civile, pur felici del risultato attenuto, chiedono al governo di Zagabria di continuare questo buon lavoro facendo in modo che questi nuovi elettori siano in grado di esercitare la propria autonomia in tutti gli ambiti della loro vita, non solo nelle urne.

fonte:http://www.west-info.eu/it/

lunedì 17 dicembre 2012

«Metrò, su e giù per le scale con mio figlio in passeggino» ] «Metrò, su e giù per le scale con mio figlio in passeggino»

La denuncia di Giusi: non mi fanno usare la pedana. Il piccolo soffre di sindrome di down e ipotonia muscolare

Giusi con suo figlio David sulle scale del metrò (Fotogramma)Giusi con suo figlio David sulle scale del metrò (Fotogramma)
MILANO - Ogni giorno «la stessa ginnastica». Giusi e David alla fermata della metropolitana, la mamma e il bimbo, la donna e il passeggino, due braccia che sollevano il piccolo e l'involucro (con pappa, cambio e documenti medici), il tutto fa 30 chili, su e giù per le stazioni cittadine, logopedista e fisioterapista, un pensiero fisso: «Prima o poi cadiamo». David cresce ma non cammina, soffre di sindrome di Down e ipotonia muscolare, Giusi lo deve sollevare per raggiungere il metrò. La pedana per i disabili - denuncia - è riservata a chi è in carrozzella. «Il mio David non la può usare». LA DENUNCIA - Burocrazia e trasporti, Giusi da mesi presenta reclami, scrive all'Atm, macina chilometri trascinando bambino e passeggino. «Il personale mi riferisce che è un ordine della direzione. Ma se durante la discesa e la salita mi ammazzo?». Serie di repliche. Del Comune: «Ci dispiace, ma la risposta non può essere fornita dall'amministrazione poiché il servizio è di Atm». Dell'Atm, in agosto: «Pur comprendendo le motivazioni alla base del suo reclamo, occorre precisare che il montascale è omologato esclusivamente per il trasporto disabili in carrozzella. Siamo rammaricati, ma speriamo di averle fatto comprendere che, favorendo il suo ingresso in stazione tramite montascale, metteremmo a rischio la sua incolumità». Giusi mostra i fogli: «Se cado per conto mio non è grave, se scivolo dal montascale diventa un problema di sicurezza. Oltretutto in ospedale me lo fanno usare tranquillamente».
LA PEDANA - Mangiagalli, San Raffaele, Regina Elena, Besta. A Lambrate «gli ascensori non funzionano», il bus 93 diretto a Niguarda «ha i gradini alti». Giusi non si arrende, altra lettera, questa volta a Pierfrancesco Maran, assessore alla Mobilità. Scrive: «Mi si nega l'uso della pedana e non posso usare passeggini più leggere perché non sono abbastanza contenitivi per il mio bimbo». È dell'8 novembre la risposta dell'assessore e i termini della questione non cambiano: «L'utilizzo del montascale è regolato del ministero dei Trasporti che ne prevede l'uso esclusivo ai disabili in carrozzina. Il montascale è omologato solo per le carrozzine ed è per questo fornito di una barra di sicurezza a protezione di eventuali spostamenti del passeggero».
LA BATTAGLIA - Fuori dall'ufficialità, domenica Maran diceva: «Purtroppo conosco bene la vicenda. Le linee 1 e 2 non hanno ancora strutture adeguate a certe esigenze. Stiamo lavorando per colmare questo gap». Giusi insiste: «Voglio vedere questa legge del ministero». Si scalda: «È un diritto poter viaggiare sui mezzi pubblici». Oggi Giusi incontrerà gli avvocati della Lega per i diritti delle persone con disabilità (Ledha): «È una battaglia di tante mamme, non solo mia. Dobbiamo vincerla a tutti costi».

fonte: http://milano.corriere.it/

Avvocati volontari per difendere i diritti dei disabili

A Genova apre lo sportello Informadiritti, servizio gratuito della Consulta della regione Liguria sull'handicap. Insieme ai legali un team di architetti, docenti e volontari esperti di disabilità
il porto di genova GENOVA - Discussioni tra condomini per l'abbattimento delle barriere architettoniche, discriminazioni sul lavoro, a scuola o nei luoghi pubblici. Per questo e per ogni contenzioso che coinvolga una persona disabile, è nato "Informadiritti", il servizio gratuito della Consulta della regione Liguria sull'handicap. Un gruppo di avvocati volontari (per ora cinque, ma ci si aspetta che altri aderiscano presto), insieme ad architetti, docenti e volontari esperti del settore, è a disposizione per rispondere ai dubbi e per cercare di risolvere eventuali problemi sull'accessibilità. "Il servizio nasce dalle specifiche richieste di molte persone disabili e delle loro famiglie che normalmente si rivolgono alla Consulta - spiega Claudio Puppo, segretario e responsabile di Informadiritti -. Situazioni che hanno bisogno di un parere autorevole, soprattutto su sentenze giurisprudenziali".
Il progetto, partito grazie all'iniziativa di due avvocati genovesi, è attivo dal 29 novembre in via sperimentale. Finora la maggior parte delle richieste ricevute riguardano la scuola, il lavoro e in particolare le "diatribe tra vicini di casa per il superamento delle barriere architettoniche", sottolinea Puppo. Lo sportello apre su appuntamento presso la sede genovese della Consulta, in via Fieschi 15, mentre è possibile lasciare un messaggio telefonico in qualsiasi momento chiamando lo 010 548 8031. Informadiritti è uno dei servizi offerti ai cittadini con disabilità. Da diversi anni il Comune di Genova ha aperto un ufficio dedicato a sbrigare le pratiche per l'abbattimento delle barriere architettoniche. È possibile segnalare ostacoli e disservizi in città, chiamando lo 010 5573205, oppure compilando il modulo sul sito dell'amministrazione. Ma basta fare un giro per il centro storico del capoluogo ligure, per rendersi conto che resta ancora molto lavoro da fare per rendere la città davvero accessibile.

fonte:http://www.superabile.it/web/it/

Tanja Kiewitz: la bellezza della disabilità

La frase che campeggia in alto sulla cartellonistica fa il verso a una pubblicità del 1994 con Eva Herzigova come protagonista, e recita “Guardami negli occhi… ho detto negli occhi”. Ma qui non si parla di reggiseni, ma di disabilità. La campagna informativa si chiama Regard ed è stata ideata dalla organizzazione no-profit belga Cap 48.

La bellissima 35enne Tanja Kiewitz, modella per un giorno chiesta in prestito al mondo del design per il quale lavora, sorride dai cartelloni che fanno bella mostra di sé in tutta la Francia e il Belgio. In reggiseno, sorriso smagliante e corpo sinuoso, chiede insistentemente che gli occhi non scivolino nel pregiudizio dell’handicap di un braccio solo, ma giudichino la sua bellezza nella sua interezza.

La campagna di sensibilizzazione, nonostante qualche critica, ha ottenuto moltissimi consensi tanto che l’associazione nell’ultimo Telethon nazionale ha raccolto oltre 4 milioni di euro, il 10% rispetto l’anno precedente.

Tanja ha così dichiarato al quotidiano francese Libération:

    L’ho fatto perché, almeno per una volta, posso mostrarmi come sono senza dovermi nascondere. Dobbiamo smettere di pensare che io non sia un essere umano, ma solo un piccolo braccio che penzola con una personalità. Le persone, troppo spesso, pensano che i disabili non abbiano una personalità, li considerano gente diversa. Bisogna sottolineare che io sono in tutto e per tutto una donna che può essere bella e sexy.

fonte:http://www.diredonna.it/

Grande successo per Miss Sorda e Mister Sordo 2012

Caserta - Lo scorso primo dicembre, presso il prestigioso teatro comunale di Caserta, si è svolta la finale nazionale di Miss Sorda e Mister Sordo 2012, concorso di bellezza ideato e prodotto dall'artista Anny Tronco che da sempre si batte per una maggiore integrazione tra il mondo dei sordi e quello degli udenti.
Organizzato e pianificato con cura in ogni minimo dettaglio, la seconda edizione del concorso Miss Sorda e Mister Sordo 2012 ha potuto contare su un cast di assoluta eccellenza: madrina del concorso è stata l'eccentrica ed esuberante Marina Ripa di Meana, al suo fianco in qualità di presidente di giuria, il giornalista ed autore televisivo Cesare Lanza, firma di numerosi programmi di successo da Domenica in… al Senso della vita, alle celebri edizioni del Festival di Sanremo presentate da Paolo Bonolis e Antonella Clerici. Professionale e coinvolgente la presentazione affidata all'ottima Paola Saluzzi, che ha portato in scena l'entusiasmo e il coinvolgimento per questa iniziativa, riuscendo con delicatezza ad entrare nel mondo del silenzio. Una serata che non ha mai smesso di sorprendere, sin dalla sua apertura: suggestioni ed emozioni si sono alternate sul palco, grazie alla sequenza di coreografie e sfilate durante le quali i diciannove concorrenti, benchè non professionisti, si sono mossi sul palco con delicatezza e competenza, conferendo ogni volta un fascino nuovo e diverso alla loro esibizione.
Emozioni e suggestioni che sono andate crescendo grazie agli interventi straordinari di Liliana De Curtis, che con tenerezza filiale ha ricordato il celebre papà Totò, di Eugenio Finardi, da sempre impegnato con la sua musica nel coinvolgimento del mondo della disabilità, e di Gabriele Marconi che con i suoi interventi comici ed ironici ha portato una ventata di spensieratezza alla serata. Momenti leggeri che dunque si sono alternati a momenti di maggior intensità e commozione, come quando la patron della manifestazione Anny Tronco ha ricevuto il premio Socrate 2000 Ritorno al merito, per il suo quotidiano impegno e la sua dedizione a favore dei sordi. Il secondo premio Socrate è stato assegnato alla presentatrice Paola Saluzzi, per le sue indiscusse doti di competenza e professionalità. La serata, infine, è stata allietata dalla musica del cantautore Stefano Artiaco.
Dopo tre momenti di eliminazione che hanno tenuto con il fiato sospeso tutto il pubblico che gremiva il teatro comunale di Caserta, i vincitori della seconda edizione di Miss Sorda & Mister Sordo 2012 sono stati i bellissimi Angela Bombardi e Alessio Zappacosta. La vittoria gli consentirà di partecipare a Praga il prossimo luglio ai concorsi "Miss & Mister Deaf Europe" e "Miss & Mister Deaf World.
Assegnate anche le fasce Miss e Mister Sorriso, Miss e Mister Eleganza, rispettivamente a Angela Bombardi e Luigi Mastracci, Sandra Sidoli e Alessio Zappacosta. Per la riconosciuta ed evidente valenza sociale Miss Sorda & Mister Sordo potrà inoltre contare su una copertura televisiva nazionale: la finale andrà in onda il prossimo otto dicembre su Gold Tv Italia (can. 128) e su ben due canali della piattaforma Sky (can. 892 e 925).
E per il prossimo anno? Le selezioni per Miss Sorda & Mister Sordo 2013 partiranno il prossimo 15 dicembre: per iscriversi basterà inviare una mail a iscrizioni@missorda.it.

fonte:http://www.casertanews.it/

domenica 16 dicembre 2012

Strage di Newtown. Killer autistico? Nicoletti: "Un'approssimazione che non può e non deve passare"

scena della strage ripresa dalle tvE' polemica sulle notizie diffuse dai media rispetto all'identità dell'autore della strage avvenuta in una scuola elementare degli Stati uniti. Le reazioni di Nicoletti e Bomprezzi sui rispettivi blog della Stampa e sul Corriere della sera. Sulla vicenda interviene anche l'Autistic Self Advocacy Network: "E' indispensabile che i media evitino di tracciare collegamenti infondati tra autismo e violenza"
ROMA - "Un autistico non spara! Adam Lanza non poteva essere un autistico. Ancora una volta si cita in maniera inadeguata una patologia che è tra le più diffuse forme di disabilità".  E' questo il commento di Gianluca Nicoletti sul suo blog Obliqua-mente sulle pagine online della Stampa sulla vicenda della strage di Sandy Hook, una scuola materna ed elementare di c nel Connecticut, a poco più di 100 chilometri da New York dove hanno perso la vita 27 persone, di cui 20 bambini. Secondo il New York Times (notizia poi ripresa da diversi media), Adam  Lanza, il ventenne che ha commesso la strage, era affetto da una sindrome autistica, ma sulla questione è scoppiata la polemica. Per Nicoletti, infatti, si tratta di "un'approssimazione che non può e non deve passare".
"L'autistico è una persona incapace di autonomia - spiega Nicoletti -, che non saprebbe uscire di casa per andare a scuola se non accompagnato, che difficilmente riuscirebbe a usare razionalmente un'arma da fuoco in maniera così reiterata, ma soprattutto è una persona che si tura le orecchie atterrito se solo sente battere le mani o entra in una stanza con la musica ad alto volume". Per Nicoletti "è facile associare al termine "autistico" quello di "asociale" e quindi condividere conclusioni assolutamente infondate, l'autismo evidentemente è una patologia di cui la categoria a cui appartengo ha una profonda ignoranza, eppure è la prima causa d'handicap, ci sono più autistici in giro di ciechi, sordi e down messi assieme (non lo dico io lo dice il Censis)".  Un errore, quello commesso dai media, che potrebbe aggravare il peso di tante famiglie che vivono ogni giorno le difficoltà di avere un familiare disabile. "Non vorrei che tanti genitori come me da oggi, oltre il peso dell' indifferenza delle istituzioni, dell' emarginazione in strutture scolastiche non adeguate e della poca preparazione della nostra classe medica a fronte di un problema in crescita (nasce un autistico ogni cento bambini), dovesse pure sobbarcarsi il sospetto che il proprio ragazzo possa tirar fuori un' arma e fare una strage".
Anche Franco Bomprezzi, sul suo blog sul Corriere della sera, è intervenuto sulla questione. "Bisognerebbe dunque stare molto attenti a usare le parole e le definizioni - scrive Bomprezzi -, a stigmatizzare e delimitare il comportamento di una persona che improvvisamente decide di compiere un gesto mostruoso, apparentemente senza segnali evidenti che ne facciano presagire l'efferatezza. Anche perché ho la sensazione che comprensibilmente l'opinione pubblica americana stia cercando una via di fuga plausibile rispetto all'argomento principale e determinante, ossia la perniciosa e intangibile libertà di detenere e usare armi in quantità impressionante". Sulla vicenda è intervenuta anche l'Autistic Self Advocacy Network (Asan). "E' indispensabile che i commentatori e i media evitino di tracciare collegamenti inadeguati e infondati tra autismo o altre disabilità e violenza - spiega l'Asan -. Gli americani autistici e soggetti con altre disabilità non sono più inclini a commettere atti violenti rispetto ai non disabili. In realtà, le persone con disabilità di ogni tipo, tra cui l'autismo, hanno di gran lunga maggiori probabilità di essere delle vittime di crimini piuttosto che essere colpevoli di violenze".

fonte:http://www.superabile.it/

Francia, diventa disabile a causa di un contraccettivo

Disabile a causa di un farmaco. Per la prima volta in Francia una giovane donna ha accusato una pillola anticoncezionale di aver causato i gravi handicap di cui soffre, e ha avviato un'azione legale contro il colosso farmaceutico Bayer.
Secondo quanto ha scritto il quotidiano Le Monde, Marion, 25 anni, ha deciso di sporgere denuncia contro l'azienda tedesca, che produce il farmaco in questione, per «danni involontari alla sua integrità fisica».
INCIDENTE VASCOLARE. Nel 2006 infatti Marion, appena tre mesi dopo aver cominciato a prendere la pillola di terza generazione Meliane, ha subito un grave incidente vascolare cerebrale che le ha causato handicap pesanti.
Da allora è diventata disabile al 65%. La giovane ha anche sporto denuncia contro l'Agenzia sanitaria francese per la sicurezza dei farmaci (Ansm) per «violazione del principio di precauzione», per non aver ritirato la pillola in questione dal mercato.
Per il padre di Marion, André Larat, il fatto che la figlia si viva «è un miracolo», anche se la ragazza soffre di emiplegia, afasia ed epilessia.
PORTATRICE DEL FATTORE V DI LEIDEN. Dopo l'attaco cerebrale, in seguito all'assuzione del farmaco, alcune analisi hanno rivelato un'anomalia genetica: Marion sarebbe infatti portatrice del fattore V di Leiden, una variante della proteina fattore V umana che aumenterebbe il rischio di trombosi venosa.
«In questi casi l'uso di contraccettivi orali è sconsigliatissimo. Ma nessuno», ha sottolineato Larat, «ha proposto a Marion di effettuare controlli sui fattori di coagulazione prima di prescriverle la pillola. Né le sono mai stati chiesti gli antecedenti familiari».
«In Francia questa è stata la prima denuncia penale contro una pillola contraccettiva, ha precisato l'avvocato Philippe Courtois. Negli Stati Uniti di denunce contro Bayer se ne contano 15 mila».
ALLARME SCATTATO A SETTEMBRE 2012. L'allarme per il farmaco è scattato a settembre 2012, quando il ministro della Sanità, Marisol Touraine, ha annunciato che questo tipo di contraccettivi non sarebbe più stato rimborsato dalla mutua a partire dal 30 settembre 2013.
E questo dopo che l'Autority francese della salute ha riconosciuto che la loro assunzione raddoppia il rischio di trombosi venosa rispetto alle pillole precedenti, dette di seconda generazione.
Il rischio, comunque, secondo il ministero sarebbe di 3-4 quasi su 10 mila pazienti.



fonte:http://www.lettera43.it/

Violenze sulla compagna disabile Il figlio lo filma e lo denuncia: arrestato





REGGIO EMILIA - Sdegnato per la violenza bestiale quotidiana commessa dal padre che massacrava di botte la compagna, invalida civile, ha prima documentato le violenze filmandole con il propriocellulare e poi si è presentato dai Carabinieri di Reggio Emilia per denunciare l'uomo, un 47enne di Reggio Emilia. Dopo la denuncia, l'8 novembre dello scroso anno l'uomo è stato arrestato con l'accusa di maltrattamenti in famiglia aggravati nei confronti della propria convivente, sottoposta a sofferenze fisiche e morali in modo continuativo ed abituale.

In particolare, a quanto documentato nei video girati dal figlio, l'uomo trascinava la donna con violenza dentro casa e si alterava quando la donna chiedeva di essere accompagnata in bagno, la sbatteva sul letto aggredendola fisicamente a schiaffi e pugni sul viso. La decisione di denunciare il padre è maturata nel giovane durante un breve periodo in cui è stato ospite a casa della coppia: ai Carabinieri l'uomo ha riferito di essersi accorto sin dal suo arrivo che il padre trascorreva le giornate bevendo per poi colpire con violenza la compagna.

L'uomo, scarcerato lo scorso febbraio, è stato sottoposto alla misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dall'ex compagna. Tuttavia, nei giorni scorsi, oltre a presentarsi più volte sotto casa, il 47enne l'ha minacciata di morte qualora avesse testimoniato all'udienza del processo. La Corte d'Appello bolognese dunque ne ha disposto nuovamente l'arresto.

Ritorno alla vita

La storia di una grave malattia neuromuscolare, le paure, i disagi, la tracheotomia e il “ritorno alla vita”, con la voglia, oggi, di uscire a “veder gente”. Il tutto raccontato in prima persona, con stile sempre estremamente vitale e talora con la giusta dose di ironia (e autoironia), anche quando le situazioni diventano quanto mai drammatiche

Federica Colarossi, "Il felice disegno della vita"«Prima del ricovero – ci ha scritto Maria Angela Caroppo, presidente della UILDM di Udine (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) – il nostro socio Diego non usciva più di casa da anni, lui che era un uomo attivo e impegnato politicamente. Ora è rinato e io mi sento più leggera».
È bello, questo lungo racconto in prima persona di una malattia neuromuscolare, perché, con stile sempre estremamente vitale e talora con la giusta dose di ironia (e autoironia), tratta anche una serie di situazioni quanto mai drammatiche. Ben volentieri lo pubblichiamo integralmente.

Era la metà di dicembre del 2009. Da alcuni giorni non stavo bene. Mangiavo poco, febbre continua, catarro e non riuscivo a deglutire. Sarà l’influenza, si pensava, ma la saturazione bassa – nonostante fossi collegato al ventilatore tramite mascherina – non era un buon segnale.
Infatti, una sera mi trovai in grosse difficoltà respiratorie. L’affanno sempre più forte e la saturazione bassa spinsero i miei a chiamare gli operatori del 118 che, visto il mio quadro clinico, decisero di portarmi al Pronto Soccorso.
Qui raggi e TAC diagnosticarono una polmonite bilaterale. Ricordo il vociferare tra i dottori e quando captai la frase «va intubato e portato in terapia intensiva», fu il panico.
Siamo tutti laureati!
Ricordo che cominciai, non so perché, a dare disposizioni ai miei su come e a chi dovessero essere date le mie cose. «Ma che fai,  testamento?», mi chiese mio cognato. «Non si sa mai», risposi.
Fui portato in una stanza, dove poco dopo entrarono dottori e infermiere che mi dissero di stare tranquillo. Una parola! Non riuscivo a respirare, stavo per essere intubato e su quel lettino mi faceva male l’osso sacro e, secondo loro, avrei dovuto stare sereno e tranquillo!
«Ora ti togliamo la mascherina e ti intubiamo, così potrai respirare meglio», mi informò il dottore.
Ricordai loro di fare attenzione perché senza mascherina avevo pochissima autonomia. La risposta fu: «Qua dentro hai a che fare con tutte persone laureate!». Ah beh, allora… Poi non ricordo nulla.
Mi svegliai in una stanza piena di luce. Sentivo qualcosa in bocca, ma non dava più di tanto fastidio. Vedevo un  tubicino entrare dal naso e qualcuno che alla mia destra trafficava nel mio collo. Scoprii più tardi che mi avevano applicato il “centrale”, una sorta di catetere attraverso il quale è possibile non solo iniettare i medicinali, ma anche effettuare i prelievi di sangue per gli esami periodici, evitando così il fastidio di doversi sottoporre alle punture venose.
Cominciò in quel momento la mia permanenza (e avventura) alla terapia intensiva della Clinica Universitaria di Udine.
Tranquillo, è tutto nella norma…
La prima cosa che mi procurò un certo sgomento fu il rendermi conto che non riuscivo a parlare. Cercavo con gli occhi di attirare l’attenzione di dottori e infermieri, finché non riuscii ad emettere con la bocca uno strano rumore che sarebbe diventato l’incubo e il tormento del personale infermieristico.
Prima di continuare, va spiegato che in terapia intensiva ci sono persone in coma, trapiantati, pazienti in gravi condizioni e quello che conta e vale per gli operatori sono i parametri e i valori espressi dai macchinari. Sottolineo questo perché il personale è “portato” a interagire non con te – paziente e persona -, bensì con i macchinari che ti stanno monitorando. O meglio, ha più valore il parametro espresso dal macchinario che le sensazioni o quello che ha da dire il paziente.
Chiamavo (con il suono di cui ho parlato prima) perché ero in difficoltà con il catarro e arrivava qualcuno che senza guardarmi si piazzava davanti al monitor ed esclamava «Badolo, tranquillo, i parametri sono nella norma!». Saranno anche nella norma, ma non il catarro! Ma come farglielo capire?
Avevo in quei giorni bisogno di vedere attorno a me sempre qualcuno. Vedere dottori, infermieri o personale delle pulizie mi faceva stare tranquillo. In caso di bisogno – pensavo o cercavo di convincermi – c’era qualcuno a cui rivolgere lo sguardo. Ed è per questo che le notti erano angosciose. Il personale si chiudeva in una stanza (tanto c’erano gli allarmi) ed io entravo nel panico. Stavo per ore con la bocca piena di saliva e catarro (questo le pur moderne apparecchiature non lo segnalavano) e quando suonava l’allarme del vicino o passavano a fare un giro, allora si accorgevano che avevo bisogno di aiuto.
Le uniche notti in cui ho dormito sono state quelle in cui i turni li faceva una gentilissima e sensibile infermiera, Sabina che, vistomi in ansia, si era presa l’impegno di passare ogni dieci-quindici minuti a controllare che tutto fosse a posto. Se mi svegliavo era lì o, come promesso, arrivava subito dopo.
In terapia intensiva le luci erano sempre accese e oramai avevo perso la cognizione del tempo.
Inaugurazione nuovo padiglione del Gervasutta di Udine nel 2008
I giorni passavano. La mattina un po’ di fisioterapia, i soliti prelievi e le consuete incomprensioni con le infermiere (soprattutto una) e infermieri (anche in questo caso soprattutto uno). Non dev’essere facile lavorare in certi reparti, me ne rendo conto, ma la loro freddezza mi spaventava.
Sono stati quindici giorni duri, sempre nella stessa posizione.
Due pensieri mi assillavano. Il primo era quello di non farcela e il secondo di quanto fossi stato sciocco. Sciocco perché oramai erano anni che non facevo una visita di controllo. Più volte avevo risposto «la prossima volta» all’invito di recarmi a visite e analisi. Ero consapevole che ciò non avrebbe di certo evitato la polmonite, ma in quei giorni quello era il pensiero. Quanto meno sarei arrivato a tutto questo con maggiori informazioni. Meno impreparato.
Fin dall’inizio i miei avevano contattato il dottor Antonio Peratoner, già primario della Pneumologia dell’Istituto di Medicina Fisica e Riabilitazione Gervasutta, che per anni aveva seguito il mio caso e che da persona disponibilissima qual è, aveva sempre risposto e dato preziosi consigli. Il giorno del ricovero è stato addirittura chiamato a notte fonda e, nonostante questo, si è adoperato in maniera incredibile. Ed è stato lui a pronunciare, nei miei confronti, la parola “tracheo”.
Per un attimo è stata come una morsa allo stomaco, una frustata, una scossa. Ma solo per un attimo. Sorprendentemente, dopo un primo momento di smarrimento, è subentrata un’inaspettata calma. «Se bisogna farla, facciamola», era ciò che pensavo. Segno che l’approccio del dottor Peratoner all’argomento era stato quello giusto e che le parole e i toni utilizzati erano stati rassicuranti. Segno anche che se i medici ben illustrano, spiegano e motivano le scelte e le cure da fare, queste (pur non essendo piacevoli) fanno meno paura.
Ricordo solo i preparativi, gli attrezzi, il monitor, il materiale che sarebbe stato utilizzato e poi più nulla… Quando mi sono risvegliato, la prima sensazione è stata quella piacevole di sentire la bocca libera. Non c’era più il tubo di gomma dell’intubazione. Respiravo bene. Nessun dolore. Da quel momento in poi, termini come cannule, controcannule, sondini e aspirazioni sarebbero diventati familiari.
Purtroppo, non riuscendo a deglutire bene e per poter rimuovere il sondino naso-gastrico, si decise, dopo la tracheo, di applicare anche la PEG (gastrostomia endoscopica percutanea), per l’alimentazione e l’idratazione. Anche in questo caso non ricordo nulla se non il “giretto” dalla terapia intensiva al reparto di gastroenterologia. Sospettando infatti che la polmonite fosse ab ingestis – causata cioè da frammenti di cibo finiti in trachea – non mi davano nulla per bocca.
Ma ciò che in quei giorni più mi pesava era il fatto di vedere poco i familiari, una volta al giorno e solo per un’oretta. Avrei voluto sempre qualcuno vicino, ma non era possibile.
E così, superata la fase acuta, si programmò finalmente il trasferimento per la riabilitazione all’Istituto Gervasutta, con un’ambulanza della Croce Rossa.
Vi sembra uno in sofferenza?
Premessa: quando si stacca il ventilatore dalla rete elettrica, entra in funzione la batteria. Un sensore acustico avvisa appunto che si sta lavorando in “modalità batteria” e sul monitor appare il relativo simboletto. L’autonomia è di circa due ore. Quando arrivarono gli operatori della Croce Rossa, il ventilatore era già stato staccato dalla rete elettrica. Mi misero così sulla barella, chiesero informazioni sulla durata della batteria e… partenza!
Vladimir Kosic, allora assessore alla Salute della Regione Friuli Venezia Giulia, inaugura nel 2008 un nuovo padiglione all’Istituto Gervasutta di Udine
Arrivati in ambulanza, attaccarono, per sicurezza, il ventilatore all’impianto elettrico. Poco dopo, però, non so per quale problema, l’infermiere a un certo punto staccò la spina e naturalmente il sensore acustico avvisò che si stava lavorando in “modalità batteria”, con relativo simboletto sul monitor. Tutto nella norma. Quelli della Croce Rossa, però, non lo sapevano! Panico nei loro occhi. Cercai di avvisarli con il labiale che non c’erano problemi, che era tutto a posto, ma i miei tentativi di spiegazione vennero interpretati come agitazione. «Cavolo, ragazzi, c’è un problema con il respiratore!». Ed io: «Noo, è in funzione la batteria». «C’è il simbolo della batteria, forse è finita». Ed io: «Nooo,  ha due ore di autonomia», ma niente, non riuscivo a farmi capire. «Chiama il 118 e chiedi autorizzazione al Codice Giallo». «Codice Giallo negato». «Cosa? Ma siamo impazziti? Ora chiamo io», e mentre componeva il numero, rivolto a me diceva: «Stai calmo, non agitarti, vedrai che tutto si risolve». Cominciai a sorridere, pensando che vedendomi così si tranquillizzassero. Mi sbagliavo. Forse ho un sorriso che non convince, fatto sta che la tensione cresceva.
«Perché cavolo non ci date il permesso al Codice Giallo? Ho uno con la tracheo e il respiratore ha problemi». A quel punto ridevo e di gusto, ma niente, non li tranquillizzai. Poco dopo sentii la sirena e l’ambulanza aumentare la velocità. «Coraggio, stiamo arrivando». Scesi dalla vettura sotto una fitta nevicata. Poi, la corsa nei corridoi fino al reparto. I miei mi stavano aspettando preoccupati e vedendo arrivare l’ambulanza con la sirena e poi la corsa e l’agitazione del personale, temevano fosse successo qualcosa di grave. Ma a mia sorella bastò guardarmi in faccia per capire che stavo bene. Infatti, una volta entrati nella stanza, gli operatori spiegarono che c’erano problemi col respiratore e che avrei potuto essere in sofferenza. «E questa vi sembra la faccia e l’espressione di uno in sofferenza?», esclamò un’infermiera del Gervasutta guardandomi.
A questo punto mia sorella spiegò agli operatori come funzionava il ventilatore, il perché suonasse e che bastava zittire l’allarme. Un attimo di silenzio, sguardi che si incrociarono e poi… una sonora risata generale.
Tutt’altra vita al Gervasutta
Arrivato al Gervasutta e portato nella stanza, la prima piacevole sorpresa fu la finestra. Sì, il mio letto era vicino alla finestra. Rivedevo in qualche modo il mondo. Stava nevicando. Alberi e tetti imbiancati. Uno spettacolo! Il mio “soggiorno” al Centro di Riabilitazione cominciava bene.
La stanza era di due posti, ma c’ero solo io. L’indomani, però, fui trasferito nella camera vicina, molto più grande (quattro posti) e spaziosa. Ero il solo a occuparla e anche in quel caso ero vicino alla finestra. Il morale non era ancora dei migliori, ma lì almeno mi si poteva venire a trovare quando e quanto si voleva, non c’erano orari. E soprattutto era permesso – cosa per me importantissima – “farmi la notte”, compito nel quale si sarebbero alternati mia madre, mia sorella, la zia Delia e Massimo. Da quel momento in poi, infatti, la mia famiglia si organizzò per far sì che neppure per un istante fossi lasciato solo. Mia madre stava finché non arrivava la zia Maria, che si fermava fino all’arrivo di Camelia, che a sua volta non andava via finché non arrivava mia sorella. E così via, con mio padre e mio cognato a fare da “autisti”.
Mi presentarono Mara, la fisioterapista, che sarebbe risultata fondamentale per il mio recupero, una ragazza straordinaria di enorme sensibilità, sempre gentile e pacata, preparata e competente. Conobbi anche il dottor Perrotta che avrebbe seguito il mio caso. Cominciai così la fisioterapia e feci la conoscenza con l’In-Exsufflator, detto anche “macchina della tosse”.
Alba a Soprapaludo di San Daniele del Friuli (Udine)Parlai, parlai ed ancora parlai…
Devo molto al paziente e ottimo lavoro di Mara, Fabiana e Franco (questi ultimi già li conoscevo). La prima curava l’aspetto fisioterapico e respiratorio, la seconda la gestione del ventilatore e i prelievi per l’emogasanalisi. Sono persone soprattutto capaci di ascoltare. Comunicavo con il labiale, ma mai una volta che mi dicessero «non ti capisco», com’era invece accaduto in terapia intensiva. «Con calma, non c’è fretta, una parola alla volta…».
Cominciarono anche le visite del primario dottor Patruno. Va detto che la tracheo che utilizzavo aveva una cannula cuffiata, ovvero che il tubino inserito in trachea aveva un “palloncino” esterno gonfiato ad aria, che poggiava sulla parete tracheale per impedire fughe d’aria o inalazioni accidentali. L’obiettivo della riabilitazione era quello di rimuovere quanto prima la tracheo, per tornare alla ventilazione tramite mascherina nasale.
Si cominciò così con il tappare la cannula per farmi respirare con la mascherina, ma il primo tentativo non andò bene. Mi agitai. Mara e Fabiana mi dissero di stare tranquillo e che avrebbero riprovato solo se me la sentivo. Che era del tutto normale qualche difficoltà all’inizio. Mi fecero soprattutto notare – io nell’agitazione non me n’ero accorto – che in quei pochi istanti con la tracheo momentaneamente scuffiata, ero riuscito a parlare. Questo mi spronò a riprovare. Andò decisamente meglio. Stetti un paio d’ore collegato tramite mascherina nasale e parlai, parlai ed ancora parlai, ponendo decine di domande.
Da qui si prese quindi la decisione di lasciarmi la cannula scuffiata, durante il giorno, e di cuffiarla solo per la notte. Operazioni, queste, del tutto indolori, semplici, che si fanno in un attimo.

Potevo parlare e nella stanza non ero neanche più solo. Nel letto vicino, infatti, era arrivato un signore con problematiche respiratorie e di fronte un dolcissimo “nonnetto”, anche lui con tracheo e PEG. Con loro e si è instaurato un ottimo rapporto, così come tra le rispettive famiglie, rapporto che continua tuttora.
Pochi giorni dopo, il dottor Patruno si sedette accanto a me, spiegandomi per un’ora buona perché avesse deciso di lasciarmi definitivamente la tracheo. Mi illustrò in maniera dettagliata i pro e i contro, con i primi decisamente superiori ai secondi.
Quelli che stavo facendo erano passi in avanti importanti. Ma la paura era ancora ben presente ed ero in particolare terrorizzato dall’idea di dover stare sempre a letto. Mi rendevo conto, però, che il mio preoccuparmi e quel chiedere continuamente “cosa sarebbe stato di me”, faceva soffrire i miei. Stavano facendo così tanto per me e io li ricambiavo con un broncio e una continua “luna storta”? Dovevo reagire, fare qualcosa. E così fu!
Voglia di sorridere
Da quel momento mi concentrai solo ed esclusivamente sugli aspetti positivi, anche se i buoni propositi rischiarono di crollare, quando decisero di provare a mettermi in carrozzina. Ricordo benissimo di avere resistito assai poco al primo tentativo. Ero disperato. Poi, giorno dopo giorno, sono riuscito a resistere sempre più, fino a starci per ore e ore. E così il sorriso tornò.
Cominciai anche la riabilitazione con la logopedista. Dato che l’esame sulla deglutizione era andato bene, c’era la possibilità di riprendere a mangiare qualcosa per bocca, ciò che oggi faccio regolarmente e senza problemi. Mi tolsero anche il catetere per la pipì e quello venoso centrale.
Divenni più allegro e a chi mi chiedeva come stavo, rispondevo: «Beh, oggi va meglio!», «Non mi posso lamentare». Iniziai a ridere e a scherzare con i vicini di letto, ad interessarmi del loro stato di salute, a chiamare le infermiere quando loro non potevano, mentre io, essendo in carrozzina, avevo la possibilità di andare a cercarle. Ridevo con il personale infermieristico, giravo per il corridoio, incontravo altre persone ricoverate e ascoltavo le loro storie.
Quanti amici!
L’esperienza al Gervasutta mi ha profondamente cambiato. Ho visto tanta sofferenza, dolore, persone arrabbiate col mondo intero e altre che pur essendo in situazioni difficili, dimostravano una serenità incredibile.
Una parentesi doverosa voglio dedicarla al “clima familiare” del Gervasutta: bravissimi gli infermieri e le infermiere e pazienti sempre con il sorriso. Ricordo momenti molto belli passati con loro. Quel clima, l’ottimo lavoro della fisioterapista Mara, le lunghe e belle chiacchierate con lei e l’altra operatrice Fabiana, la radiolina con le cuffie prestata dall’amico Luca, che veniva spesso a leggermi gli articoli dei giornali e che mi dava modo di discutere quando i miei familiari e gli amici venivano a trovarmi, il computer – fondamentale per riallacciare quei rapporti “telematici” che riempivano buona parte della giornata -, tutto stava dando il suo frutto.
Era bello “risentire” gli amici del forum (un forum di discussione di un quotidiano nazionale) e soprattutto Camilla, che durante la degenza stampava i messaggi e me li spediva, per darmi modo di capire quante fossero le persone che chiedevano mie notizie e quanti si preoccupassero per me. I suoi sproni a non mollare, il lettore MP3 con le cuffie e le decine di canzoni che mi aveva spedito quand’ero ancora in terapia intensiva e che tanta compagnia mi aveva fatto, le sue e-mail e le telefonate… I tanti messaggi di auguri e solidarietà dai “forumisti”, le e-mail e la sorpresa e la gioia di un simpaticissimo telegramma di Gianni, le telefonate e i messaggi di Augusto, tornare a parlare di politica, arte, libri e musica con Alice, di cinema e letteratura con Francesco, anche loro conosciuti tramite il forum… E le domeniche pomeriggio, con gli amici e i parenti che riempivano la mia stanza…
Pian piano stavo riprendendo un po’ della quotidianità alla quale ero abituato, quelle piccole abitudini che facevano parte delle mie giornate. E tutto ciò mi trasmetteva tranquillità e sensazioni positive. «Se riesco a farlo qui -  pensavo – posso riprendere a farlo anche a casa!».
La “mia salvezza”
E così quella tracheo che all’inizio temevo mi avrebbe pesantemente condizionato la vita, si è poi rivelata la “mia salvezza”. Grazie ad essa, infatti, posso dire di essere letteralmente rinato e anche la gestione, alla prova dei fatti, si è rivelata più semplice di quel che pensavo. Oggi, addirittura, non serve nemmeno medicarla ogni giorno.
Fatto sta che sono ottimamente ventilato, sto bene, ho messo su qualche chiletto e mi è tornata una gran voglia di uscire e di andare a spasso. E tutto ciò anche e soprattutto grazie alla mia famiglia, che da sempre mi assiste in maniera ottimale. Ai miei genitori, a mia sorella, sempre vicina e presente, a mio cognato che cura gli “aspetti burocratici” e in generale al clima familiare, nel senso che a casa mia si è sempre riso tanto. Certo, i brutti momenti non sono mancati, ma l’ironia, il saper anche ridere dei propri limiti è importante. E questo, secondo me, è stato ed è un ottimo “farmaco”, naturale, sicuro e senza controindicazioni.
E grazie, infine, a un gruppo di straordinari amici del mio paese sui quali posso sempre contare.
Socio della UILDM di Udine (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare). Il presente testo è apparso in tre puntate in «DM» (nn. 176, 177 e 178), periodico nazionale della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolari) e viene qui ripreso per gentile concessione, con lievi riadattamenti al contesto.

fonte:http://www.superando.it/