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Ilaria

martedì 4 dicembre 2012

''Abbiamo adottato un bimbo down. E lo rifaremmo subito, ma non da soli''



La storia di Luca, un bimbo di un anno e mezzo e con sindrome di down. 
Un anno fa ha trovato casa in un paese della Bergamasca, non
 senza problemi. Una storia di un'adozione fuori dal comune raccolta dalle pagine
 dell'Eco di Bergamo.
BERGAMO - La crocetta più bella che ci sia ha gli occhi di Luca. 
immagine newsIl suo sorriso, il profumo della sua pelle e quello
 stringersi nell'abbraccio di mamma e papà. Li cerca come
 ogni frugoletto fa con i suoi genitori. Magari non li chiama
 ancora, ma tutta la sua forza sta lì, nel suo esserci.
 Luca poteva crescere in qualche istituto,
 se gli andava meglio in una casa d'accoglienza con tante 
cose da fare, ma nessuno da riconoscere come la sua mamma.
 Invece Luca ora abita in un paesotto a pochi chilometri da Bergamo 
e la sua famiglia ce l'ha, eccome se ce l'ha, merito di una crocetta messa 
guardandosi dritto negli occhi. Quell'esplosione di energia tutta da liberare ha
 trovato casa poco più di un anno fa.
 E non era poi così scontato, per chi si porta dietro un cromosoma in più. Ma ha
 incontrato due persone che 
si mettono in gioco fino in fondo intonando il loro inno alla vita, comunque sia, 
e oggi la sua casa è diventata la loro. Luca ha un anno e mezzo e la sindrome
 di down. "Ora è in preaffido adottivo - spiega il papà che chiameremo Pietro -, 
 attendiamo il decreto definitivo di adozione". Una mamma - quella mamma che
 oggi i genitori di Luca ringraziano con il cuore - aveva deciso di farlo nascere in 
ospedale, senza rischi, ma di lasciarlo lì nell'anonimato, di certo per dargli un
 futuro migliore. Magari nemmeno sapeva della sua "anomalia cromosomica". 
Non era pronta, non poteva accoglierlo, chissà.
Colloqui e questionari. A pochi chilometri di distanza, una coppia con sette
 anni di matrimonio alle spalle e tanta voglia di avere un bambino. "Abbiamo 
avviato le pratiche e i colloqui per l'adozione nel 2007 - spiega Pietro -, prima
 ai servizi sociali di zona, poi, dopo l'idoneità, al tribunale dei minori di Brescia, 
dal quale noi dipendiamo. Dopo un anno di colloqui ci hanno sottoposto un 
questionario. C'era una domanda, ci chiedeva se eravamo disposti ad accogliere
 anche un bambino con qualche disabilità. Ci abbiamo pensato poco, volevamo 
che questa fosse la nostra storia, solo nostra, senza condizionamenti. 
Ci siamo guardati negli occhi e, sapendo comunque che questa scelta 
non era vincolante, abbiamo barrato quella crocetta". Non era vincolante,
 ma l'incalzare delle domande e delle visite che sono venute in seguito, 
fatte per verificare la convinzione di questa come di tutte le coppie
 intenzionate ad adottare un bambino, nel caso di questa coppia non 
ha fatto che rafforzare l'idea che sì, un bambino era un figlio. Punto e 
basta, comunque fosse.
Tanti punti di domanda. "Ripensando ora a quei momenti mi viene in mente
 solo la carica che il nostro bambino ci dà - prosegue Pietro -. Quando ci 
hanno chiamati per dirci che un bambino c'era, ed era Luca, ci avevano
 esposto tutti i problemi che poteva avere. Lui è nato prematuro, ha la 
sindrome di down, e il resto sono tanti punti di domanda. Ma una domanda
 ce la siamo fatta io e mia moglie: se non lo prendevamo noi, chi lo prendeva? 
Però parliamoci chiaro - aggiunge mentre si toglie la giacca, diventata troppo
 pesante -: poteva anche nascerci così". Poi ricorda di nuovo: "Ci aveva chiamato
 il tribunale di Milano, non quello di Brescia, che ci aveva sempre seguito: è
 stato quello il segnale che, forse, poteva trattarsi di un figlio speciale, un
 bimbo che non aveva trovato casa là dove era nato. Poi ci hanno esposto 
il caso, ci hanno lasciato qualche giorno per decidere ed è iniziata la valutazione".
 La tranche numero due o tre, vista la quantità di incontri, esami e controesami 
previsti per poter adottare. "Hanno dovuto verificare che fossimo davvero convinti 
- aggiunge Pietro -, poi è venuto anche il giudice a casa nostra. In quel periodo
 non dormivo la notte perché pensavo a cosa mi avrebbero chiesto, a come 
rispondere la mattina dopo. Alla fine ci hanno scelto e, finalmente, ci hanno
 portati da lui".
L'abbandono del poi. Inutile provare a intuire la tempesta di emozioni che si è
 scatenata quel giorno in ospedale, il giorno dell'incontro. Luca era là, placido e
 piccolo che li aspettava. "Si è abituato subito a noi - aggiunge il papà -, noi
 invece abbiamo detto ai parenti che ci facevano festa: ci rivediamo tra un po'. 
Avevamo bisogno di tempo per abituarci, lo aspettavamo da tanti anni, ma ci
 siamo ritrovati come impreparati". Un aspetto sul quale Pietro non vuole insistere,
 ma che affronta per aiutare le coppie che, come la sua, si preparano ad 
accogliere un bambino. 
"Per riassumere lo stato di abbandono nel quale ci siamo sentiti dopo aver 
portato a casa 
Luca uso spesso una frase, è questa: faccio più firme quando devo ricevere
 un pacco dalla Dhl". 
In sintesi: usciti dall'ospedale con il loro frugoletto, i due bergamaschi si sono 
ritrovati a inventarsi
la loro vita, "senza indicazioni su dove andare, sui controlli ai quali sottoporre
nostro figlio con disabilità. Niente di niente. Avevamo bisogno di indicazioni: ci 
hanno fatto 100.000 domande prima,ma dopo, quando ci hanno dato Luca, 
dovevamo essere noi a farne loro altrettanto". "A Bergamo gente d'oro" 
Ed è ciò che Pietro consiglia a chi adotta: "Non restate in attesa di 
indicazioni, chiedete". 
E se da un lato "i diversi tribunali affrontano le cose in modo diverso, mentre
 i tutori avrebbero bisogno di formazione, di linee guida da seguire per evitare 
che uno possa esserci, 
l'altro sia invece  assente, l'altro ancora troppo presente", questa coppia speciale ha 
invece potuto contare, qui a Bergamo, "su una neuropsichiatria infantile che è d'oro:
Luca è seguito con un'attenzione e una disponibilità esemplare - aggiunge 
infervorandosi Pietro -, meno male per noi che si
sono dati anima e cuore per risolvere i nostri problemi". Problemi e difficoltà che
temprano, che "ci hanno reso sempre più combattivi e oggi mi fanno dire che
 si può fare, ne vale la pena. Questo bambino qua ti dà una carica... e raga, 
questo bambino mi riconosce come suo papà". Ha detto tutto.

fonte: http://www.ufficiodisabili.it/

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