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Ilaria

giovedì 25 ottobre 2012

Anziani, malati e disabili: a Bari assistenza domiciliare pari a zero

BARI – Ospedali chiusi, medici di famiglia che aspettano di organizzarsi e una popolazione di anziani e bisognosi di cure che non sa a quale santo rivolgersi. Quanto scritto sulla Costituzione sul diritto alla salute e spesso sventolato resta purtroppo un sogno: parliamo dell’assistenza domiciliare integrata, quella forma di terapia domiciliare che servirebbe a evitare stress ai pazienti e soprattutto realizzare quei tanto attesi risparmi fino a questo momento concretizzati con il taglio degli ospedali.
Bari, purtroppo, come emerge dai dati del Ministero della Salute (riferiti all’anno 2010) è fanalino di coda nella Regione con appena lo 0,7% di assistenza domiciliare integrata (Adi) erogata rispetto a una popolazione ultra 65enne stimata in oltre 220mila unità. Una percentuale che arriva all’1,8% nella sola Puglia, rispetto a una media nazionale del 4,2%. Inutile il raffronto con l’Emilia Romagna, regione con cui spesso si fa un confronto avendo una popolazione vicina alla nostra, dove l’assistenza domiciliare integrata tocca una media dell’11,6%. Tre volte la Puglia. Facendo un paragone con Bologna, il capoluogo emiliano ha una percentuale pari a poco più del 14%, cioè 15 volte il dato di Bari.
Nel centro-nord, con tali politiche territoriali, riescono a far quadrare i conti anche se – va detto per amor di verità – l’Emilia Romagna chiude i conti della sanità in attivo grazie proprio alla mobilità attiva, cioè a quegli «immigrati» della salute che ogni anno le regalano centinaia di milioni di euro. Al netto della mobilità, infatti, la Puglia non avrebbe nulla da rimproverarsi in termini di gestione: come emerge dai dati della Corte dei Conti, i risultati finanziari della regione del centro-nord sono peggiori di quelli pugliesi. Inutile avventurarsi nella ricerca di spiegazioni sul dato finale positivo della regione di Vasco Errani che potrebbero andare dalla presenza del privato (in Emilia Romagna c’è il doppio di posti letto rispetto alla Puglia che contribuiscono ad accrescere l’attrattività, come da studio Confindustria) a una cultura di territorialità grazie ai programmi della medicina di base e così via.
L’assistenza domiciliare integrata, in tale contesto, rappresenta uno degli elementi che ancora oggi è affidato alla «improvvisazione»: il nostro sistema non riesce a garantire la domanda di prestazioni che non riguarda solo la popolazione anziana (è aumentato il trend di invecchiamento della popolazione) ma anche una platea di ammalati affetti da una serie di patologie neurovegetative, oncologiche e per finire anche a quelle da trauma.
L’Asl di Bari, che ha pagato il tributo più alto in termini di chiusura degli ospedali per effetto del Piano di rientro (19 ospedali chiusi in tutta la Puglia nel tempo record di 11 mesi), si ritrova adesso a gestire un territorio che reclama un camice bianco. Prima, quegli ospedali chiusi – che rappresentavano un fardello in quanto eseguivano ricoveri inappropriati – erano comunque un avamposto sanitario, un luogo dove poter chiedere aiuto. Adesso, sono rimasti i medici di famiglia: il decreto Balduzzi prevede forme associate, ma di Case della salute se ne parla da tempo e senza risorse si non se ne fa nulla.
Nel frattempo si assiste a una mobilità di pazienti, soprattutto anziani, costretti ad affollare i posti di pronto soccorso o – come sta emergendo in questi ultimi mesi – a rivolgersi al 118 causando così un ritardo nelle prestazioni da codice rosso. Purtroppo, i tempi scanditi dai «ragionieri» ministeriali hanno imposto alla Regione scelte immediate, i cosiddetti tagli con l’accetta senza prevedere una fase di transizione. C’è da augurarsi che la situazione migliori, evitando che qualcuno tassi anche il diritto alla salute.

fonte:http://www.disablog.it/

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