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Ilaria

martedì 23 ottobre 2012

Disabili gravissimi in sciopero della fame


Cinquanta persone insieme ai loro familiari hanno iniziato a digiunare contro il mancato varo del Piano nazionale per la non autosufficienza: «Il governo non rispetta le promesse»

MILANO - Cinquanta persone con disabilità gravi e gravissime, di cui circa la metà attaccate a un tubo per respirare e a un altro per nutrirsi, hanno iniziato il 21 ottobre lo sciopero della fame, insieme ai loro familiari. Un gesto estremo, promosso dal "Comitato 16 Novembre per la difesa di malati gravi e gravissimi", per protestare contro «l’assenza di un Piano organico per la non autosufficienza». «Con la legge sulla Spending Review il governo ha deciso di dedicare parte dei 658 milioni alla non autosufficienza, in particolare ai disabili gravissimi, ma in che modo? Ogni riferimento al Piano nazionale per la non autosufficienza è infatti scomparso anche dal "decreto Balduzzi", in discussione in Parlamento - dice Mariangela Lamanna, sorella di Giusy, malata di Sla, sclerosi laterale amiotrofica -. Eppure ad aprile, il Ministero del Lavoro si era impegnato a rendere pubblica entro un mese la proposta di un piano d’intervento. Intanto sono passati 6 mesi, troppi per chi deve arrangiarsi da solo. Dopo i nostri sit-in - continua Lamanna, che è anche vicepresidente del "Comitato 16 Novembre" - ci avevano promesso un incontro congiunto coi rappresentanti dei tre Ministeri coinvolti: Economia, Salute e Welfare, ma non si è mai svolto». Da qui la decisione di digiunare.
DOPO TRE PRESIDI - «La scorsa settimana avevamo rinnovato le nostre richieste ai Ministeri e al presidente del Consiglio, inviando anche un primo elenco di malati disposti allo sciopero della fame - aggiunge Raffaele Pennacchio, medico della provincia di Caserta, malato di Sla allo stadio iniziale -. Abbiamo ricevuto solo la disponibilità del Ministro della Salute a incontrarci mercoledì 24, ma un incontro unilaterale non sarebbe risolutivo. Chiediamo di incontrare i tre ministri contemporaneamente e concordare insieme un piano di intervento blindato per i disabili gravissimi. Nell’attesa, da domenica abbiamo cominciato a interrompere gradualmente l’alimentazione». Molti sono malati gravissimi allettati, collegati a macchine per respirare, si alimentano attraverso sondini posizionati nello stomaco.
LOTTARE PER UNA VITA DIGNITOSA - «Il problema è che i Ministeri non dialogano tra loro - dice Salvatore Usala di Monserrato, provincia di Cagliari, malato di Sla e segretario del "Comitato 16 Novembre" -. Faccio lo sciopero della fame perché sto lottando per una vita dignitosa: per me, la mia famiglia, ma soprattutto per i tanti che vengono "imprigionati" in residenze. Io sono paralizzato, scrivo con gli occhi con un computer dotato di puntatore oculare, mi nutro tramite un tubo inserito nello stomaco e respiro grazie a un altro tubo inserito in trachea, alimentato da ventilatore - prosegue Usala -. Ci rendiamo conto della situazione difficile che il Paese sta affrontando e per questo avevamo proposto il progetto "Ritornare a casa", che farebbe risparmiare soldi allo Stato e consentirebbe a chi non è autosufficiente di vivere coi propri cari».
"RITORNARE A CASA" - Da sei anni funziona in Sardegna e riguarda un migliaio di assistiti, costretti alla tracheostomia 24 ore su 24 in ventilazione meccanica invasiva. «La Regione spende circa 20 milioni di euro fra oneri normali e aggiuntivi, ma ne risparmia 50 - sottolinea Usala -. Si sono infatti ridotti al minimo i ricoveri in rianimazione (costano 1.800 euro al giorno) e anche quelli nelle Rsa, Residenze sanitarie assistenziali, a totale carico del Servizio Sanitario Regionale». «In Italia purtroppo si preferisce ricorrere a residenze sociosanitarie, con costi molto più alti di quelli necessari per assistere nelle loro case, circondati dall’affetto dei propri cari, pazienti che necessitano di assistenza domiciliare 24 ore su 24 - aggiunge Pennacchio -. La mancanza di un piano per l’autosufficienza efficace e applicabile su tutto il territorio nazionale fa sì che tutto il carico assistenziale ricada sui familiari, quando ci sono, con uno stravolgimento completo della loro vita».

A CASA LA VITA HA ANCORA SENSO - «L’assistenza domiciliare mi permette di vivere con dignità e dare ancora un senso alla mia vita - racconta Laura Flamini, malata di Sla, presidente del "Comitato 16 Novembre" -. Sono allo stadio ultimo della malattia, tracheostomizzata, cioè dalla mia gola esce un tubo che si collega a un respiratore. Gola-tubo-respiratore formano un circuito chiuso: secrezioni più dense possono intasarlo e io non respiro più. Durante il giorno e la notte ho bisogno di essere più volte "aspirata", cioè la trachea e i polmoni vanno liberati dalle secrezioni, che possono soffocarmi. Sono completamente paralizzata e ho bisogno di una persona che sappia cosa fare, per esempio: se si guasta l’apparecchio per respirare va sostituito rapidamente con l'altro che ho. Può accadere anche di notte, e quindi una persona deve dormire vicino a me ed essere in grado di intervenire subito. Non posso più nutrirmi per bocca, ma solo attraverso un tubicino che entra nel mio stomaco, ma se non c'è una persona che sappia come fare, io non mi nutro. Devo essere lavata, vestita, cambiata: ho dovuto assumere due persone che si alternano. Poi ho mia figlia, che supervisiona le mie giornate. Ho venduto la casa per far fronte a spese enormi. La mia situazione è simile a migliaia di altre persone, indipendentemente dal nome della malattia. Lo Stato ha solo tagliato, e quando è stato obbligato a guardarci negli occhi ha fatto promesse che non ha mantenuto».

fonte:http://www.corriere.it/

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