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Ilaria

mercoledì 14 novembre 2012

Il marito è in coma: «O le staminali o l'eutanasia»


Irene Sampognaro con il marito Giuseppe Marletta, prima che lui entrasse in coma«Se quello in cui viviamo fosse uno Stato civile situazioni come la mia non esisterebbero. Non ci sarebbero neanche persone costrette a fare lo sciopero della fame per farsi curare. Ma siamo in Italia e mio marito è in stato vegetativo da due anni e mezzo. Per lui non ci sono speranze di guarigione, solo una piccola chance data da quella cura con le staminali che nei giorni scorsi l'istituto di Sanità ha vietato perché "pericolosa". Quel divieto mi ha gettata nell'angoscia. Ho deciso: se non mi permetteranno di sperimentarla su Giuseppe come avevo chiesto, allora opterò per l'eutanasia. Non voglio più vederlo nelle condizioni in cui si trova».
Chi parla è Irene Sampognaro, 40 anni, insegnante di Catania. Due anni e mezzo fa il marito, Giuseppe Marletta, all'epoca quarantaduenne, entrò in coma dopo un banale intervento ai denti. «Fu un errore medico. Durante l'estrazione di due punti di sutura metallici alla mascella Giuseppe ebbe un arresto cardiaco. Da quel giorno non si è più svegliato. La diagnosi è stato vegetativo permanente, come Eluana Englaro. E proprio come Eluana io lo farò morire se non mi permetteranno di curarlo».

Facciamo un passo indietro. La cura di cui parla Irene è quella che, nei giorni scorsi, è stata definita il «metodo Di Bella» delle staminali. Una terapia a base di cellule staminali somministrata dalla Stamina Foundation presso gli Spedali Civili di Brescia, dov'erano in cura dodici pazienti, tra cui due bambine, Celeste (di Venezia) e Smeralda (di Catania), balzate all'onore delle cronache per via della causa ai Tar fatta dai genitori contro un provvedimento dell'Aifa, l'Agenzia italiana del farmaco, che aveva imposto lo stop alle cure.
«In quel caso», dice Irene, «il Tar diede ragione alle famiglie e le cure sono riprese. Ma il pm di Torino, Raffaele Guariniello, ha aperto un'inchiesta contro la Stamina Foundation. E alla fine il ministero della Salute e l'Aifa hanno chiesto a un gotha di esperti di indagare».
Il 5 novembre scorso l'Istituto superiore di Sanità e l'Aifa hanno bocciato la terapia: «È pericolosa per la salute e i laboratori sono in luoghi non adatti. Inoltre, non è stato mai pubblicato un risultato delle ricerche nelle pubblicazioni scientifiche», hanno detto.
L'ospedale di Brescia ha replicato: «In nessuno dei dodici pazienti per cui sono state adottate queste di cure, e neanche in Celeste e Smeralda, si sono registrate complicazioni».
Nei giorni successivi un gruppo di pazienti in stato vegetativo ha iniziato lo sciopero della fame, ribattendo di credere in questa terapia. Lo sciopero è stato sospeso perché uno dei pazienti si è aggravato fino a far temere che stesse per morire.

«Io non ho partecipato alla protesta», dice Irene, «perché dopo quello che è accaduto a mio marito mi sono anche ammalata di tumore. Sono troppo fragile per fare uno sciopero della fame. Inoltre ho due bambini a cui pensare».
E continua: «Quando mio marito è entrato in coma ero diventata da un mese madre per la seconda volta. la mia secondogenita, Eleonora, non ha ricordi di suo padre. Edoardo, invece, sì. Lui ha sette anni e ancora aspetta di vedere il suo papà tornare a casa».
In questi due anni e mezzo il piccolo Edoardo non ha mai visto il suo papà. «È difficile per me vederlo in quelle condizioni, non posso portarci anche mio figlio», dice Irene. Che spiega: «Qui a Catania, e nel Sud in genere, non ci sono strutture adatte per i pazienti in stato vegetativo. Giuseppe attualmente sta in un ospizio per anziani, respira da solo, ma viene alimentato con la peg (un tubo che porta il cibo dritto nello stomaco, ndr). Standogli accanto ho scoperto che queste persone sentono il dolore, te ne accorgi dalle smorfie che fanno. Io non ce la faccio più a vedere mio marito che soffre. Non è vita la sua. Giuseppe è un vegetale. La sua è una condizione peggiore della morte, è una non vita. Mio marito era nel pieno della salute quando andò all'ospedale Garibaldi di Catania per l'intervento alla mascella, quei medici che hanno sbagliato (sono stati rinviati a giudizio, ndr) lo hanno condannato a non vivere, a vegetare. Era un ragazzo brillante, e io non posso accettare di vederlo così. Neanche lui lo vorrebbe, ne avevamo parlato tante volte».

«In questi due anni - continua Irene - mi sono rivolta spesso alle istituzioni, ho chiesto tante volte aiuto, ma hanno fatto tutti orecchie da mercante. Questa terapia delle staminali io la considero l'ultima chance per Giuseppe. Lo so che hanno detto che è pericolosa, ma io ho parlato con tante persone che si sono sottoposte a questa cura e non mi risulta che nessuno abbia denunciato questi medici per danni riportati. A chi ci dice che la terapia è pericolosa vorrei far notare che per una persona nelle condizioni di Giuseppe, dove l'unico sviluppo possibile è la morte, dove sta la pericolosità? Che cosa potrebbe succedergli? Morire? Ma tanto, se resta così, quello è il suo destino. E allora perché non assecondare la nostra ultima speranza? Ho presentato all'ospedale di Brescia la richiesta di poter curare mio marito con le staminali, se ci sarà una risposta negativa farò ricorso. E se la risposta sarà di nuovo negativa, allora darò mandato ai miei avvocati di avviare la procedura per l'eutanasia. La faremo in Italia, seguirò lo stesso percorso che ha seguito Beppino Englaro per sua figlia. Non aspetterò che mio marito muoia da solo tra mille sofferenze, o mi permettarnno di curarlo o staccherò io la spina. Non ci sono altre alternative».

fonte: http://www.vanityfair.it/

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