Sette volte campione di
sci di fondo, nel 2007 primo atleta con protesi all'arto inferiore a
domare la vetta dell'Alpamayo, Gianfranco Corradini si prepara a
un'altra sfida: scalare la cima più alta del Caucaso. Vent'anni fa
perdeva la gamba in un incidente motociclistico, poco dopo, l'incontro
che gli cambierà la vita. "Senza testardaggine, di montagna, non se ne
riesce a salire nemmeno una"
ROMA - "Tu sei
fortunato. Male che vada, ti congeli una gamba sola". E scoppia in una
fragorosa risata. È con una battuta dei suoi amici più cari che,
Gianfranco Corradini, classe '55, atleta disabile, racconta cosa
l'aspetta il 10 settembre, quando inizierà l'ascesa al monte Elbrus,
5.642 metri, la cima più alta del Caucaso russo. Già sette volte
campione di sci di fondo e con alle spalle un curriculum d'alpinista di
tutto rispetto, Corradini partirà alla volta dell'Asia per battere un
altro record, dopo quello del 2007 quando fu il primo atleta con protesi
all'arto inferiore a domare la vetta dell'Alpamayo, sulle Ande
peruviane (5.947 metri). Anche se, ora, preferisce non pensare alla
"montagna più bella del mondo" (così, l'ha definita l'Unesco) ma
"concentrarsi sulla scalata". "Quella dell'Alpamayo - racconta - è stata
una scalata più tecnica. Una parte del percorso, almeno 600 metri, era
intermente ghiacciata e con una pendenza del 70%. In questo caso,
invece, il problema maggiore saranno i bruschi cambiamenti climatici".
Unico elemento lasciato al caso, quindi, la meteorologia. Per il resto,
un allenamento studiato a tavolino ("Mi alleno 4-5 volte a settimana,
andando in bici, camminando e salendo in quota. Senza esagerare,
altrimenti sforzo troppo la gamba") e una fede incrollabile nelle
proprie capacità.
L'alpinista della Val
di Non, che più di vent'anni fa perse la gamba sinistra in un incidente
automobilistico, è la prova vivente che le barriere sono, a volte, solo
mentali. Grazie all'ausilio di una protesi speciale per l'alpinismo
progettata dall'Inail di Vigorso di Budrio, Corradini si è inerpicato un
po' ovunque: dal Monte Bianco alle Punte Gnifetti, da Bishorn e Burnaby
nel Gruppo del Rosa, passando per Weissmies, Grossglockner, Piz Buin,
Cevedale, Cima Ortles e Gran Zebrù. E poi ancora, su per il Palon de la
Mar, il Monte Rosole e il San Matteo. Instancabile, non si è risparmiato
pericolanti arrampicate su pareti di ghiaccio e neve, con pendenze che
sfiorano il 70%, come Presanella, Cristallo e Marmolada.
Scalare, sciare, sono
state "la mia rivincita sull'handicap", dichiara lui che, pur, facendo
parte di una famiglia di sportivi, prima dell'infortunio, a soli 22
anni, non era un atleta così appassionato. "Dopo l'incidente, ho
iniziato a fare della passeggiate che, con il tempo, diventavano sempre
più lunghe. A un certo punto, ho iniziato a salire. E da quel momento
non mi sono più fermato". L'incontro che gli ha cambiato la vita è stato
quello con Roberto Diaz, una guida alpina che l'accompagna da sempre
nelle sue spedizioni. È lui, afferma, ad avergli dato l'input: "Dipende
da te, mi diceva. Lo decidi tu, se vuoi andare più in alto". E
Gianfranco, ha deciso. Perché, per lui è chiaro che "senza
testardaggine, di montagna, non se ne riesce a salire nemmeno una". fonte:http://www.ufficiodisabili.it/
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